Archivio della Categoria 'news MOMO' CALASCIBETTA'

Please, hold the line!

Venerdì 29 Settembre 2017


Escursioni nel disegno Italiano del 900 :da Attardi a Zancanaro.
a cura di Nicolo’ D’Alessandro

galleria Massimo La Piana


inaugurazione della mostra  alle ore 18.00 del 29/09/2017.

“…..Il disegno è “anima” per esprimere concetti, idee interiori, astrazioni. Ambisce alla coscienza e conoscenza più profonda dell’uomo. Non è peregrino affermare che il disegno costituisce la prima forma virtuale della comunicazione. È la traduzione immediata di un’idea astratta in una forma visibile e quindi comunicante. Scrivevo qualche tempo fa che il disegno non è come molti sono portati a credere espressione di ricerca preparatoria a qualcos’altro. Al contrario è qualcosa di autonomo, l’espressione più vicina alla labile traccia della propria idea, del proprio pensiero. Il disegno appartiene da sempre alla cultura elementare dell’uomo, alla sua immediatezza comunicativa. Potremmo aggiungere che il disegno è la prima arcaica forma virtuale della rappresentazione umana.” 

Momò Calascibetta -Studio per “L’abbraccio “cm.34×42,5 disegno a matita 2001
opere  di
U.Attardi, B.Caruso, R.Guttuso, E.Greco, E.Scanavino, R.Vespignani, T.Zancanaro, M.Calascibetta, N.D’alessandro, G.Costa, E.Giuffrida, G.Iudice, G.Merlina, A.Micciche’.
La mostra e’ inserita nel percorso ufficiale di”Le vie dei tesori “nella sezione dedicata agli itinerari contemporanei a cura di Paola Nicita

La partecipazione a questa manifestazione prevede l’apertura straordinaria della galleria il ven-sab-e dom dalle 10 alle 18 ma sara’ cmq visitabile dal martedi’ al giovedi’nei normali orari di galleria: 10.30/13.00-16.30/20.00

Agrigentérotique

Sabato 8 Luglio 2017

Farm Cultural Park Agrigentérotique

Mezzo secolo dopo la frana che colpì Agrigento, una mostra

 a cura di Dario Orphée La Mendola  ricorda la tragedia.

opere di

Salvo Barone  Momò Calascibetta  Alfonso Siracusa

19 Luglio _20 Settembre 2017

Si svolgerà a Favara, presso la Farm Cultural Park, il 19 luglio, alle ore 18:15, una conversazione libera sulla frana di Agrigento del 1966, in contemporanea all’inaugurazione della mostra “Agrigentérotique, a cura di Dario Orphée La Mendola, le cui opere site-specific di Salvo Barone, Momò Calascibetta e Alfonso Siracusa riflettono artisticamente su quanto accaduto nella città dei Templi dalla speculazione edilizia a oggi.Tre opere site-specific, dai titoli in latino, che possono essere “lette” singolarmente o come scene di un’unica opera teatrale, offrono un’indagine estetica su quanto accaduto nella città dei Templi nel corso del Novecento, dalla devastazione urbana all’eredità contemporanea. Esse, similmente a persone cui è stata violata la serenità domestica, sono state “accolte”, cioè esposte, presso la Farm di Favara, dimostratasi favorevole al progetto, con un mese di anticipo rispetto alla data dell’anniversario, e inaugurate simbolicamente il 19 Luglio.

Nel corso della serata, lo sguardo sarà focalizzato su vari temi, storici e attuali per la città di Agrigento: lo stato della cattedrale e quello prettamente geologico dei costoni su cui insiste l’espansione urbana, le inchieste giornalistiche e gli impatti sociologici ed estetici.

La mostra, fondamentalmente sperimentale, e che s’ispira ai principi della permacultura, è stata intramezzata da differenti iniziative: da esposizioni private a improvvise installazioni urbane temporanee, senza un termine preciso e con una programmazione in costante aggiornamento. Ciò è accaduto soprattutto per avviare un processo di allontanamento dalle regole imposte dal sistema dell’arte contemporanea, oggi purtroppo non in grado di ironizzare su stessa, avendo smarrito il suo sguardo infantile. Le opere presenti alla Farm, riproduzioni degli originali, sono state esposte in appositi allestimenti installativi, all’aperto, rendendo il fruitore parte integrante dell’opera, mettendolo in relazione con l’atmosfera circostante, accompagnate da una prosa di Dario Orphée La Mendola.

Salvo Barone Obstupesco” (2017), ha illustrato due donne e un uomo in atteggiamento smarrito, le cui posizioni anatomiche, che sembrano tratte da fotografie storiche, sono prive di qualsiasi riferimento preciso, perché indefinibile è l’atmosfera che li avvolge. Essi, come se fossero stati appena sfollati e desiderassero comprendere il loro destino, immobilizzati in un costante presente, appaiono in cerca di conforto, osservando inermi la tragica frantumazione della propria abitazione, ma divengono involontariamente parte di un ipotetico appartamento franato, il quale potrebbe essere il loro, abbandonato in fretta per mettersi in sicurezza, congelato dal tempo.

Momò Calascibetta Cui prodest (2017), ha analizzato ironicamente  l’inettitudine dell’artista contemporaneo al tempo della speculazione edilizia in Italia, il cui sforzo non è mai stato all’altezza di produrre opere che potessero fronteggiare il potere, favorendolo invece egoisticamente. La fronte corrugata del protagonista solitario suggerisce il senso di sofferenza durante l’atto poietico, il cui mancato prodotto, sottolineato dalla carta igienica intonsa intorno, dimostra che ancora tanto deve essere fatto. La percezione della realtà interna è influenzata dalla scelta prospettica, giocando meravigliosamente con i chiaroscuri dei panneggi, inscrivendo la scena in una dinamicità espressivamente forte.

Alfonso Siracusa Error communis” (2017), ha recuperato oggetti collegati storicamente alla frana, inserendoli in un ambiente caratterizzato dalla duplicità, rendendo evidente una frase della celebre inchiesta Martuscelli. Le reti metalliche, divise in basso dal coltello che effettua un taglio con il passato, riportano le stelle della Marina militare raffiguranti la costellazione del cancro. Più avanti una finestra, che incornicia un pilastro del viadotto posto dirimpetto alla città, se aperta svela, sotto l’influsso di simbologie alchemiche riattualizzate, la vittima della frana posta su una mappa della città recante punti d’interesse franoso, il cui mancato intervento allarma l’osservatore allo specchio.

Dario Orpheè La Mendola

Titolo: Agrigentérotique

a cura di: Dario Orphée La Mendola

artisti: Salvo Barone, MoMò Calascibetta, Alfonso Siracusa

spazio: Farm Cultural Park - cortile Bentivegna 92026 Favara

inaugurazione: Mercoledì 19 Luglio 2017 ore 19

organizzazione generale: Andrea Bartoli e Florinda Saieva

public relation: Salvo Sciortino e Giovanna Arnone

fotografie: Gerlando Sciortino

digital animation | visual design: Elia Zaffuto e Giuseppe Miccichè

webmaster Farm: Rosario Castellana

durata: 19 Luglio | 20 Settembre 2017

orario: tutti i giorni 10-24

info

http://www.farmculturalpark.com

Contact+39 3289749798  Dario Orphée La Mendola

ufficio stampa: Paola Feltrinelli paolafeltrinelli79@gmail.com

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Farm Cultural Park |  Agrigentérotique

a cura di Dario Orphée La Mendola

Salvo Barone  Momò Calascibetta  Alfonso Siracusa

Half a century after the landslide that hit Agrigento, an exhibition by Dario Orphée La Mendola recalls the tragedy. Three site-specific works, from Latin titles, which can be “read” individually or as scenes of a single theatrical work, offer an aesthetic investigation of what happened in the city of the Temples during the twentieth century, from urban devastation to Contemporary heritage. Similarly to people who have been violated the domestic serenity, they were “welcomed”, that is exhibited at the Farm of Favara, which proved to be favorable to the project, one month in advance of the anniversary date, and symbolically inaugurated on 19 July. The exhibition, fundamentally experimental and inspired by the principles of permaculture, has been interspersed with various initiatives: from private exhibitions to temporary temporary urban installations, without a precise term and with a constantly updated schedule. This has happened especially to start a process of getting away from the rules imposed by the contemporary art system, today unfortunately not being able to ironize on itself, having lost its childish look. The works at the Farm, reproductions of the original, have been exhibited in special outdoor installations, making the guest an integral part of the work, putting it in relation to the surrounding atmosphere, accompanied by a prose by Dario Orphée La Mendola.

Salvo Barone in “Obstupesco” (2017) depicted three lost-minded persons: two women and a man, whose anatomical positions, which appear to have been taken from historical photographs, are devoid of any precise reference, because the ambience that envelops them is indefinable. They, as if they had just been displaced and wanted to understand their fate, immobilized in a constant present, appear to be looking for comfort, observing the tragic crushing of their dwelling unintentionally, but becoming involuntarily part of a hypothetical sloping apartment, which could be theirs, abandoned in a hurry to secure themselves, frozen by time.

Momò Calascibetta in “Cui prodest?”(2017), ironically analyzed the ineptness of the contemporary artist at the time of construction speculation in Italy, whose effort has never been able to produce works that could face power, but on the contrary favoring it egoistically. The corrugated face of the lonely protagonist suggests the sense of suffering during the act of initiation, whose lack of product, underlined by the toilet paper intoned around, shows that much remains to be done. The perception of the inner reality is influenced by the prospective choice, playing wonderfully with the chiaroscuro of the drama, inscribing the scene in an expressively strong dynamism.

Alfonso Siracusa in “Error communis”(2017) retrieved historically linked objects to the landslide, inserting them in a context characterized by duplicity, making a statement of the famous Martuscelli investigation apparent. The metal nets, divided by the knife that makes a cut with the past, portray the stars of the Navy depicting the constellation of cancer. Further on, a window framing a pillar of the viaduct facing the city, if opened reveals, under the influence of alchemically re-altered symbologies, the victim of the landslide placed on a map of the city with landmark points of landslide interest, whose failure to intervene alarms the observer in the mirror.

 Traslation by Annareta Sciacca

Agrigentérotique

Martedì 20 Giugno 2017
Agrigentérotique

parce que la vie n’est pas esthétique

di Salvo Barone, Momò Calascibetta, Alfonso Siracusa,


a cura di Dario Orphée La Mendola 


Agrigentérotique

parce que la vie n’est pas esthétique 

Mezzo secolo dopo la frana di Agrigento,una mostra al Farm Cultural Para cura di Dario Orphèe  ricorda la tragedia.


 Tre opere site-specific, dai titoli in latino, che possono essere “lette” singolarmente o come scene di un’unica opera teatrale, offrono un’indagine estetica su quanto accaduto nella città dei Templi nel corso del Novecento, dalla devastazione urbana all’eredità contemporanea. 
Esse, similmente a persone cui è stata violata la serenità domestica, sono state “accolte”, cioè esposte, presso la Farm di Favara, dimostratasi favorevole al progetto, con un mese di anticipo rispetto alla data dell’anniversario, e inaugurate simbolicamente il 19 luglio.
La mostra, fondamentalmente sperimentale, e che si ispira ai principi della permacultura, è stata intramezzata da differenti iniziative: da esposizioni private a improvvise installazioni urbane temporanee, senza un termine preciso e con una programmazione in costante aggiornamento. Ciò è accaduto soprattutto per avviare un processo di allontanamento dalle regole imposte dal sistema dell’arte contemporanea, oggi purtroppo non in grado di ironizzare su stessa, avendo smarrito il suo sguardo infantile. Il titolo della mostra, invece, trae spunto dal mito di Eros e da una diceria locale, il cui significato viene svelato oralmente nel corso degli appuntamenti. 

 Le opere esposte alla Farm, riproduzioni degli originali, sono state esposte in appositi allestimenti installativi, che rendono il fruitore parte integrante dell’opera, mettendolo in relazione con l’atmosfera circostante, accompagnate da una prosa di Dario Orphée La Mendola.
Nei dettagli. Salvo Barone, in “Obstupesco”, ha illustrato due donne e un uomo in atteggiamento smarrito, come se fossero stati appena sfollati e desiderassero comprendere il loro destino, involontariamente parte di un ipotetico appartamento franato, che potrebbe essere il loro, abbandonato in fretta per mettersi in sicurezza. Momò Calascibetta, in “Cui prodest?”, ha analizzato l’inettitudine dell’artista contemporaneo al tempo della speculazione edilizia in Italia, il cui sforzo non è mai stato all’altezza di produrre opere che potessero fronteggiare il potere, favorendolo egoisticamente. Alfonso Siracusa, in “Error communis”, con oggetti coerenti storicamente, ha strappato e ha modificato una frase dalla celebre inchiesta Martuscelli, redendola un dialogo tra due protagonisti della frana e della città, sotto l’influsso di simbologie riattualizzate, tratte da un antico disegno alchemico. 

 Contributi dell’iniziativa sono le opere multimediali. La grafica della mostra, intitolata “De gustibus non est disputandum’’, realizzata da Giuseppe Miccichè, ha fissato con degli elementi grotteschi, e mediante una soluzione minimalista, un elemento allegorico dell’architettura contemporanea, il quale, pur nella libera interpretazione, sintetizza quanto accaduto in quel triste luglio del 1966. Nell’animazione “Quisque faber fortunae suae”, Elìa Zaffuto, in collaborazione con Giuseppe Miccichè, hanno accentuano la violenza psicologica e visiva di un “oggetto” estraneo all’interno di un armonico centro storico formatosi naturalmente, ispirandosi a concepts di cult e ambienti horror degli anni ’60.

informazioni:
artisti: Salvo Barone, MoMò Calascibetta, Alfonso Siracusa
titolo mostraAgrigentérotique
a cura: di Dario Orphée La Mendola 
Spazio espositivo: Farm Cultural Park
inaugurazione: anteprima il 21 giugno 2017 ore 21.00
durata:21 giugno-21 settembre 2017
animazioneElia Zaffuto, Giuseppe Miccichè
organizzazione tecnica: Salvo Sciortino
visual design: Giuseppe Miccichè
Fotografie evento: Gerlando Sciortino
indirizzo: FARM CULTURAL PARK, Cortile Bentivegna, Favara, Italy
orario spazio espositivo:  tutti i giorni
infoDario Orphée La Mendola 3289749798 

ufficio stampa: Paola Feltrinelli paolafeltrinelli79@gmail.com


Zucchero & Catrame

Mercoledì 7 Giugno 2017
Zucchero  &  Catrame
quaranta opere storiche
di
16 June/ Giugno - 25 June/ Giugno
Momò Calascibetta-Giochi e spassi degli eroi di Comiso Park- cm.150 x 200 disegno a matita  1984

Nella splendida cornice dello Spazio Gucciardello di Vittoria si inaugura il 16 giugno 2017, in occasione  della decima edizione del “Vittoria Jazz Festival” (sotto la  direzione artistica dell’“enfant prodige” del jazz nostrano, il sassofonista Francesco Cafiso) la mostra personale di Momò Calascibetta dal titolo “ZUCCHERO & CATRAME” a cura di Luciano D’ Amico che, con una selezione di quaranta opere storiche tra dipintidisegni sculture, illustra i temi e i linguaggi cari all’artista, da sempre attento alla ricerca psicologica svelando l’inconscio, le pulsioni e i sentimenti dell’animo umano. Oggetto della sua attenzione per un relativo periodo storico è stata quella fetta di creature umane più indifese, più deboli e innocenti. In mostra infatti il ciclo di lavori inediti  de’ “ i bambini sulle strade del mondo” (anni 2004/2006) che perdendo il riferimento familiare come modello da imitare, riflettono senza mediazione le perversioni dell’attuale sistema della società moderna; un semplice atto d’accusa contro “l’homo economicus”, rivelatosi produttore di follia, esclusione, miseria, fame e ingiustizia attraverso il personalissimo codice simbolico dell’artista. Quei bambini di “ZUCCHERO”, prodotto dei trafficanti di morte che dopo 10 anni attraverseranno il nostro Mediterraneo per sbarcare in Sicilia con le loro madri bambine.

Il pittore Momò Calascibetta nel suo processo creativo parte dall’uomo e all’uomo torna con vera pietas  mettendone  in evidenza la salute o la follia mentale. La lente del suo occhio d’artista, ingrandita ed esacerbata, coglie il male che la società opulenta dell’occidente cova. Momò non sfugge a quella dolorosa analisi critica che trova e scopre nella  natura stessa dell’uomo la sua infinita sete di potere e di ricchezza, produttrice di miseria e di fame, di ingiustizia e follia.
I personaggi di potere che analizza MoMò, portano in sé i semi del bene e del male e spesso non riescono a sfuggire ai pensieri che ispirano i diavoli occidentali; divorano con cupidigia il futuro dei loro popoli e accettano di lasciare scorrere CATRAME nei vasi sanguigni dei loro cervelli. L’artista sa che le crisi economiche e le guerre sono premeditate, gestite e volute dai paesi opulenti e mai sazi e così, con la potenza della sua matita e del suo colore, rende visibili gli umili diseredati e affamati in attesa che i potenti, superbi oltre la tracotanza, vengano rovesciati dai loro troni senza aspettare l’Apocalisse. (Paola Feltrinelli)
informazioni:
artista: MoMò Calascibetta
titolo mostra: Zucchero & Catrame
Spazio espositivo: Spazio Gucciardello
a cura: di Luciano D’amico
inaugurazione: 16 giugno 2017 ore 19.00
durata:16 giugno-25 giugno 2017
indirizzo: Via Cavour 32 97019 Vittoria (RG) Italia
orario spazio espositivo:  dal martedì al sabato 19.00-23.00 

ufficio stampa: Paola Feltrinelli  paolafeltrinelli79@gmail.com

Eccetera

Giovedì 25 Maggio 2017


“ECCETERA”

a cura di antonio vitale
coordinamento di giuseppe vitale

opening - sabato 27 maggio, ore 19.00

visitabile fino a martedì 13 giugno 2017

La mostra che vi proponiamo dal titolo “Eccetera”, rappresenta il terzo appuntamento espositivo collettivo che lo SPAZIOVITALEin di Catania ha pensato di offrire per il 2017 ai suoi numerosi estimatori.
Dopo le mostre organizzate dal titolo “Travisibile” e “Carta”Eccetera”  trova il suo naturale baricentro espressivo in una comunicazione che utilizza i linguaggi più vari e lontani per ciascun artista, ma che per tutti afferma e presenta un “testo artistico” che chiude le porte rispetto al mondo quotidianamente vissuto – l’eccetera di ciascuno – e condensa tutto il proprio peso comunicativo parlandoci di un mondo intimo, privato, taciuto, solo raramente esibito.

La mostra, dunque, un coro di voci soliste.
  
MoMò Calascibetta - La mia casa in Vicolo del Forno- cm.33×66 disegno a matita 2004

Il racconto si snoda attraverso le opere di:

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INFO MOSTRA
Mostra Collettiva
 “ECCETERA”
a cura di Antonio Vitale
coordinamento di Giuseppe Vitale
INAUGURAZIONE - sabato 27 maggio, ore 19.00
A.C. SPAZIOVITALEin – via Milano 20, 95126 Catania
(t) 095 371010 – spaziovitaleincatania@gmail.com
fino a martedì 13 giugno 2017
martedì>sabato 16.30>20.00
domenica> 10.30>12.30

per info: (t) 340 1500159

La memoria e l’Alzheimer

Domenica 7 Maggio 2017

La memoria e l’Alzheimer

presentazione del
volume di poesia di Emanuele Schembari 
con illustrazioni originali 
Martedì 9 maggio 2017, alle ore 18.00
Centro Servizi Culturali di Ragusa
Momò Calascibetta-La casa dell’infanzia-cm 28×35 disegno a matita 2017
Martedì 9 maggio 2017, alle ore 18.00, presso il Centro Servizi Culturali di Ragusa Giovanni Occhipinti e Andrea Guastella presentano il volume postumo di poesia di Emanuele Schembari ”La memoria e l’Alzheimer”, Aurea Phoenix Edizioni, 2017. La lettura delle liriche è affidata alla voce di Giorgio Sparacino. Per l’occasione, vengono esposte le illustrazioni originali di Momò Calascibetta. 
L’evento, organizzato dall’Associazione Aurea Phoenix e dal Centro Servizi Culturali, si iscrive nelle celebrazioni per la dedicazione del Centro Servizi ad Emanuele Schembari sollecitata dalle Associazioni del Centro e ratificata dall’Amministrazione Comunale di Ragusa. La cerimonia di dedicazione avverrà, alla presenza del sindaco, alle ore 17.30. Dalla prefazione di Giovanni Occhipinti: «Tutta la poesia di Emanuele Schembari si sviluppa su due versanti: quello di chi aderisce al “compromesso quotidiano”, vivendo l’insidia dell’inganno e imbrigliandosi nelle maglie del potere, e quello del “tempo” che cancella – ahimè – e rende irrecuperabili situazioni e realtà trascorse, così che tutto va a confluire su pronunciamenti civili ed esistenziali degni di un cittadino del mondo. Il tutto, naturalmente si dipana lungo un filo di rigorosa coerenza tematica e stilistica. Sono i due motivi ricorrenti della poesia di Schembari e basterà leggere Al di là del calendario (2005) e L’orologio elettronico (2006) per rendersi conto che questi motivi hanno alimentato tutta la sua poetica, dagli anni Settanta ai nostri giorni.
Oggi Emanuele, che abbiamo voluto bene e stimato e che ci è stato compagno di strada lungo i percorsi, non semplici, delle iniziative culturali e letterarie, non è più con noi a infervorarci con la sua vis polemica, che gli fece meritare nella storia della Poesia del Secondo Novecento il posto e il ruolo del poeta civile, ma continuiamo a sentirlo e a considerarne la voce e la civiltà dell’autore e dell’intellettuale di cui la sua Ragusa, ne sono certo, vorrà tener conto, grazie al fatto che egli l’ha rappresentata al di là dei confini della provincia siciliana e molto prossima alla realtà civile, sociale e storico-politica che riguarda in senso lato la storia dell’uomo solo nella realtà infida del mondo».
Volume: La memoria e l’Alzheimer
Autore: Emanuele Schembari
Casa editrice: Aurea Phoenix Edizioni 
Prefazione: Giovanni Occhipinti
Postfazione: Andrea Guastella
Illustrazioni: Momò Calascibetta
Presentazione: martedì 9 maggio 2017, ore 18.00 
Luogo: Centro Servizi Culturali, Via A. Diaz, 56 - Ragusa 
Recapito telefonico: 0932.676111
Testimonianze: Giovanni Occhipinti, Andrea Guastella
Letture: Giorgio Sparacino
Info: Andrea Guastella, mail: andreguast@yahoo.com  
Cell: 327.4059001


Amen

Giovedì 30 Marzo 2017
Vernissage 06 Aprile 2017, alle ore 19:00
 ex Chiesa San Giovanni Battista 
Via Damaggio Fischetti, Gela  (Caltanissetta)
MoMò Calascibetta-Mitografia cm. 183×138 acrilico e disegno su tavola 2014/15
ARTISTI
Daniele Alonge, Angelo Barile, Giuseppe Brugioni, Momò Calascibetta, Roberto Collodoro, Lorenza Ciulla, Leonardo Cumbo, Max Ferrigno, Sergio Fiorentino, Luigi Giocolano, Emanuela Giuffrida, Piero Guccione, Corrado Inturri, Giovanni Iudice, Sebastiano Parasiliti, Domenico Pellegrino, Fortunato Pepe, Michele Principato Trosso, Alice Valenti, Giuseppe Veneziano e Domenico Zora.
L’ex Chiesa San Giovanni Battista, suggestiva location nel centro storico di Gela, appena restaurata,  ospiterà all’interno dei suoi spazi “Amen: religione e religiosità nell’arte contemporanea”, una mostra collettiva a cura di Danilo Mendola e con la collaborazione dell’associazione Uncle Jack.
Il progetto espositivo, in sintonia con il clima pasquale della città, si articolerà in due tappe. La prima a Gela dal 6 al 18 aprile 2017 e la seconda a Ragusa, nei locali del Palazzo Zacco, dal 21 aprile al 10 maggio 2017. Una mostra impreziosita da nomi di altissimo livello: 
Daniele Alonge, Angelo Barile, Giuseppe Brugioni, Momò Calascibetta, Roberto Collodoro, Lorenza Ciulla, Leonardo Cumbo, Max Ferrigno, Sergio Fiorentino, Luigi Giocolano, Emanuela Giuffrida, Piero Guccione, Corrado Inturri, Giovanni Iudice, Sebastiano Parasiliti, Domenico Pellegrino, Fortunato Pepe, Michele Principato Trosso, Alice Valenti, Giuseppe Veneziano e Domenico Zora.

AMEN

Religione e Religiosità nell’Arte Contemporanea

E’ affascinante e curioso osservare quante innumerevoli siano le rappresentazioni e i modi di percepire la “spiritualità”appartenenti all’immaginario collettivo e come le mani e il pensiero degli artisti ne rappresentino, di volta in volta, soggettivamente, i vari aspetti della realtà.
La religione in Sicilia è anche “ Folkrore e costume “, un misto tra riti religiosi e pagani propri della gente. Essa porta impresse, nelle antiche tradizioni che si tramandano oralmente, la fierezza della sofferenza, dell’ironia e della passione in senso lato. La religione, o meglio ancora, le religioni vivono da sempre parallelamente ed ancestralmente alla normale vita sociale, riflettendosi, soprattutto, negli occhi e nelle gesta della gente umile, nelle rappresentazioni ad esse collegate.
Nel mondo antico la festa per antonomasia era quella religiosa, per Platone era “il giorno del rapporto con la divinità”. Nella Pasqua cristiana, ancora oggi, si rinnovano annualmente le vicende mitiche già esistenti in quasi tutte le antiche civiltà, ove si narrava di una dea ( dai Romani chiamata Cerere, dai Babilonesi Ishatar, dai Frigi Cibele,  dai Greci Demetra, dagli Egizi Iside) la quale piangeva la morte e assisteva alla rinascita di una divinità che era la personificazione della natura, in particolare del grano. L’opposizione ricorrente è quella dell’estate e dell’inverno, dell’interminabile lotta fra il bene e il male che riprende a pieno titolo quella primitiva e solenne tra la vita e la morte.
In una più ampia prospettiva antropologica tratti comuni dei nostri comportamenti possono essere a volte ritrovati in culture geograficamente agli antipodi che, pur non avendo mai avuto contatti diretti, sembrano essere strette da un misterioso leitmotiv. Oggi, in questo percorso espositivo il visitatore/osservatore viene invitato a concentrarsi sulle vibrazioni emozionali trasmesse dagli artisti per mezzo delle opere e a percepire il significato religioso trasmesso ( anche allontanandosi dalla concezione tradizionale ), nel senso più ampio e profondo, specificamente come  l’Amore di Dio, in qualsiasi forma e /o nome  venga a Lui attribuito.
Danilo mendola
Informazioni:
mostra collettiva
a cura di: Danilo Mendola
inaugurazione: 6 aprile 2017, ore 19.00
durata:  6  aprile – 18 aprile 2017
indirizzo: ex Chiesa San Giovanni Battista, via Damaggio Fischetti, Gela  (Caltanissetta)

orari apertura: tutti i giorni dalle 16:00 alle 20:00, la mattina su appuntamento.

Migrantes

Mercoledì 22 Febbraio 2017

MIGRANTES

Palazzo Garofalo
dal 23 febbraio all’11 marzo 2017
paricolare MoMò Calascibetta acrilico 40×50 2017 (particolare)

Cresce l’interesse nel territorio ibleo per la prestigiosa iniziativa, unica nel suo genere, della mostra interculturale d’arte “Migrantes”.
Trentanove artisti professionisti, anche giovani talenti; ragazzi coinvolti in diversi centri di accoglienza; dipinti, fotografie, sculture, testimonianze video con canti, poesie e danze: questi i soggetti e le loro produzioni all’interno di un percorso che diventa metafora esistenziale.

Artisti:
ARTURO BARBANTE, ILDE BARONE, SALVO BARONE, SANDRO BRACCHITTA, MOMÓ CALASCIBETTA, CARMELO CANDIANO, MAVIE CARTIA, SALVO CARUSO, DANIELE CASCONE, SALVO CATANIA, EZIO CICCIARELLA, GIUSEPPE COLOMBO, GIUSEPPE DIARA, SALVATORE DIFRANCO, GIUSEPPE ANTHONY DI MARTINO, ANGELO DI QUATTRO, ALESSANDRO FINOCCHIARO, GIOVANNA GENNARO, TONY GENTILE, AMIR YEKE, GIOVANNI IUDICE, GIOVANNI LA COGNATA, GIUSEPPE LEONE, GIOVANNI LISSANDRELLO, GIANNI MANIA, SEBASTIANO MESSINA, DARIO NANÌ, LUIGI NIFOSÌ, MICHELE NIGRO, ALIDA PARDO, FRANCO POLIZZI, MAURIZIO POMETTI, LUIGI RABBITO, FRANCESCO RINZIVILLO, GIOVANNI ROBUSTELLI, PIERO ROCCASALVO, FABIO ROMANO, FRANCO SARNARI, ALFONSO SIRACUSA.

NELLA TERRA DI NESSUNO di ANDREA GUASTELLA

Ogni anno decine di milioni di persone fuggono dal loro paese d’origine: abbandonano aree devastate da conflitti e guerre, dove la libertà è un miraggio e la violenza è all’ordine del giorno. Chi fugge, il più delle volte, non lo fa in cerca di un futuro migliore, ma semplicemente per conservare la vita sua e dei propri cari. Questi concetti sono ormai diventati di dominio comune. Se infatti la storia ha conosciuto fasi di grandi migrazioni, mai esse sono avvenute nello stesso periodo, a vastissima scala e con l’impressionante rapidità dei nostri giorni. Gli stranieri che sino poco fa vedevamo solo al cinema o di cui leggevamo sui giornali, circolano adesso per le nostre strade, sbandati e in cerca di attenzione. Accorgersi della loro presenza non significa però che i migranti cessino di essere oggetto di carità postale o di astratta discussione. Al contrario, i problemi pressanti che la loro realtà comporta e la nostra attitudine ad assuefarci al dolore fanno sì che i tormenti della coscienza, quando ci sono, si conformino al respiro delle onde che cancellano implacabili le tracce degli sbarchi.
Forse solo gli artisti sanno davvero interpretare ciò che accade a coloro che abbandonano casa. Lo sanno in quanto disadattati essi stessi, estranei a una società che fa dell’utile il valore assoluto. Lo sanno in quanto corpi avvezzi al peso e alla transitorietà della materia. Lo sanno soprattutto in quanto esperti dell’umano, e per ciò stesso costretti a identificarsi con l’altro.
A giudicare dai lavori esposti in mostra, il migrante è anzitutto un’identità in transito. In questo senso, ciascun uomo è un migrante, tanto la bimba che sogna in valigia di Alida Pardo quanto gli automobilisti incolonnati sul sentiero della vita di Luigi Rabbito.
Cos’è in fondo l’esistenza se non l’esplorazione di un territorio sconosciuto? Perciò il quadro di Ilde Barone si intitola semplicemente Nata – e credo in ciò si colga un’identificazione personale – e Giovanni Robustelli, con le sue alghe ondeggianti, può a ragione evocare la “coscienza dell’io”: l’io è un groviglio di pensieri e di emozioni, quasi sempre in contrasto tra loro, che si agita come una fiamma in direzione del cielo. Anche se, come accade alle alghe, salire in superficie significa morire.
Il viaggiatore muore al suo passato. Il futuro è una questione di prospettiva. E in prospettiva, quasi osservandolo dall’alto, Michele Nigro dipinge il Mediterraneo come un tappeto colorato. È il nostro mare, e i migranti di oggi sono i padri di ieri. Non siamo forse un unico tessuto? Che cosa distingue siriani e ugandesi dalle contadine in scialle nero di Giuseppe Colombo, dalla nonna che si bagna i piedi sulla spiaggia di Giuseppe Anthony Dimartino, dai viandanti affacciati a un vagone ferroviario di Giovanni Iudice, da quelli che ci sorridono dai vetri di un autobus di Luigi Nifosì o dall’uomo di colore disperso per le strade di Palermo di Giovanni La Cognata? Niente.
Nelle nostre serre, come nei campi percorsi dal Seminatore di Millet evocato da Franco Sarnari, la vita è lavoro. Le grandi mani di Momò Calascibetta e i piedi di Salvatore Difranco sono uguali per tutti. Come oggi, ieri il passaggio per conseguire un destino migliore è una porta stretta, irta di punte come quella assemblata da Carmelo Candiano. Chiunque la attraversi, sia l’Argonauta dal volto segnato di Salvo Caruso, sia la figura nuda e sperduta in una stanza di Dario Nanì, sia la sagoma svestita in forma di persona di Fabio Romano, porterà sulla pelle le tracce dei chiodi.
Altri artisti preferiscono soffermarsi sulle dinamiche del viaggio e sulle conseguenze che esso apporta al fisico e alla psiche del migrante. Partiamo dal viaggio: il mare, lo spazio da percorrere, è davvero sconfinato, come nel lavoro di Sandro Bracchitta; il tragitto è periglioso, come quello della barca di carta di Maurizio Pometti; il suo approdo è un magma indistinto che solo per caso si chiama Sampieri, come nel dipinto di Alessandro Finocchiaro.
A volte, come nel quadro di Mavie Cartia, il silenzio dei flutti è confortato dalla speranza di un avvistamento. Ma non avevano avvistato i soccorsi anche i dispersi della Zattera della Medusa?
Spesso, anzi spessissimo, al viaggio segue il naufragio, con la speranza che ironicamente si converte in di-speranza come nel dipinto di Franco Polizzi. Abbiamo quindi il corpo morto a pochi metri dalla sarcastica linea di traguardo di Salvo Catania Zingali, i cadaveri velati di uno scatto di Gianni Mania, il vortice impetuoso di Giovanni Lissandrello, il bimbo pupazzo squarciato di Piero Roccasalvo Rub, la memoria dell’acqua di Amir Yeke.
Dopo lo sbarco, restano le barche sulla spiaggia di Giuseppe Diara, i fiori in mare di Giovanna Gennaro, i legacci e la pietra di Ezio Cicciarella, insomma, le reliquie, i condensati di memoria in cui, come nelle conchiglie, riecheggia ancora l’eco del lungo navigare: si guardi al copertone salvagente dell’istallazione di Alfonso Siracusa e al legno decorato da Tony Gentile, proveniente da un relitto.
E i migranti? Quando giungono vivi sono lieti per lo scampato pericolo come il naufrago di Arturo Barbante, ma nella maggior parte dei casi li attendono l’indifferenza, l’alienazione, la riduzione a un numero di cui parlano i lavori di Angelo Diquattro, di Francesco Rinzivillo e di Salvo Barone.
Dobbiamo quindi concludere che la terra promessa confina con l’orrore, che la “civiltà” è barbarie e la barbarie civiltà? È lo spettacolo che la cronaca, prima ancora dell’arte, ci trasmette.
Vediamo perennemente tradotti in spaventevole realtà il racconto di Caino e quello di Noè e sappiamo, noi per primi, di non stare di casa in nessun luogo. Anche il Figlio dell’uomo non aveva, come i migranti, una pietra dove posare il capo. “Noi” – lo notava in uno splendido saggio Glauco Cambon – “siamo la sua immagine invertita. Forse demoniaca”.
E tuttavia se, come forse accade, per altre vie, agli oranti di Giuseppe Leone, agli amici di Sebastiano Messina e al libero pensatore di Daniele Cascone, “l’arte contemporanea […] ci avrà condotto ad affrontare l’abisso della nostra dispersione, ci avrà dato la possibilità di istallarci […] in un mondo nuovo a venire e in un linguaggio valido; di riessere umani. Nel frattempo, attendati in terra di nessuno, viviamo l’inferno dell’attesa. Possiamo solo sperare che sia infine un purgatorio”.

Curatore generale: Giuseppe Di Mauro
Direttore artistico: Salvo Barone
Critici:
- ELISA MANDARÀ
- ANDREA GUASTELLA
Consulenza scientifica: Cattedra di “Dialogo tra le culture” di Ragusa
Coorganizzatori: Alcuni Uffici della Diocesi di Ragusa
✔Cultura
✔Caritas
✔Migrantes
✔Missioni
◻ CALENDARIO GENERALE ◻

◽▫Ragusa▫◽
Palazzo Garofalo, dal 23 febbraio all’11 marzo
Inaugurazione 23 febbraio ore 19.00
Lun-sab 9.30-12.30 (su richiesta); 16.00-19.00

◽▫Comiso▫◽
Foyer del Teatro Naselli, dal 4 aprile al 19 aprile
Inaugurazione 4 aprile ore 19.00
Lun-sab 9.30-12.30; 17.00-20.00

◽▫Vittoria▫◽
Sala Mazzone (ex ENEL), dal 22 aprile al 14 maggio
Inaugurazione 22 arpile ore 19.00
Lun-sab 9.30-12.30 (su richiesta); 17.00-20.00
〰〰〰

Sarà disponibile pure il catalogo della mostra contenente le opere degli artisti coinvolti. Tale pubblicazione, oltre agli interventi nell’aerea prettamente artistica, conterrà anche contributi sul fenomeno migratorio, in modo da contestualizzare meglio l’evento. Il ricavato servirà per sostenere le spese della mostra stessa.

Per ulteriori informazioni:
Tel.: 349 3009999 (10.30-12.30; 16.00-18.00)
E-mail: ufficiocultura@diocesidiragusa.it
http://cultura.diocesidiragusa.it/

***Sfacciati***

Mercoledì 21 Dicembre 2016
autoritratto
Momò Calascibetta-AutoRitratto-cm.60×80 acrilico 2016

Si inaugura giovedì 22 dicembre 2016, alle ore 19.00, presso la Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco a Ragusa, la mostra Sfacciati, cura di Andrea Guastella. L’esposizione raccoglie oltre cinquanta autoritratti d’artista che l’Amministrazione Comunale di Ragusa è lieta di ospitare nelle splendide Sale di Palazzo Zacco, dove potranno incontrarsi «con le sculture di Carmelo Cappello» offrendo ai ragusani e ai tanti turisti che ogni giorno visitano il museo «una riflessione su un genere – l’autoritratto – che forse più di tutti contraddistingue la nostra civiltà, ma che gli artisti sono ben lungi dall’aver esaurito quanto a forza e potenzialità».
I visitatori potranno inoltre soffermarsi su un video di Giancarlo Busacca con interventi critici di Andrea Guastella dedicato al tema dell’autoritratto.
Il corto, presentato in occasione dell’inaugurazione della mostra, sarà proiettato a ciclo continuo nell’aula video di Palazzo Zacco.
In occasione della mostra il Comune di Ragusa e l’Associazione Aurea Phoenix organizzano il concorso Realizza il tuo autoritratto. Il concorso, riservato a chi pratica il disegno e la pittura, prevede la creazione di un’opera artistica, su tela, su tavola o su carta, di formato massimo 70×50 cm, ed è suddiviso in quattro sezioni: 1. Scuola primaria; 2. Scuola media inferiore; 3. Scuola media superiore; 4. Sezione libera, aperta a chiunque voglia partecipare, senza limiti di età e condizione
Gli elaborati dovranno pervenire entro e non oltre il 7 gennaio 2017, ore 13.00, presso la Civica Raccolta Cappello di Via San Vito 158. I vincitori, giudicati da una giuria designata dal Comune di Ragusa e dall’Associazione Aurea Phoenix e presieduta dal Sindaco, saranno premiati con la possibilità di tenere una mostra in uno spazio pubblico e con premi offerti dall’Associazione Aurea Phoenix e da sponsor. La premiazione avverrà sabato 14 gennaio alle ore 17.00 presso Palazzo Zacco.
Dal testo in catalogo (Aurea Phoenix Edizioni) di Andrea Guastella: «Voglio essere sfacciato anch’io, confessarvi senza peli sulla lingua l’intera verità.
Questa mostra è stata, come si suole dire, un incidente. Avevo ricevuto, insieme a un amico, un incarico istituzionale: passare in rassegna gli uffici del Comune di Ragusa per individuare, tra le opere d’arte che ospitano, le più interessanti, allo scopo di predisporre la loro ricollocazione in un contesto museale.
Occorreva, ovviamente, interloquire con i dipendenti, spiegando loro come la nostra ispezione non fosse finalizzata a licenziamenti di massa, e facendoci spiegare a nostra volta dove si trovassero statue e dipinti, spesso conservati in magazzini o locali chiusi al pubblico, per tracciarli e stilare le relative schede. Ora, la risposta degli impiegati statisticamente più frequente era: “Qui gli unici pezzi da museo siamo noi che vi parliamo!”.
Lo avevano ripetuto con tanta convinzione da suggerirmi una rassegna dei loro ritratti, e chissà che prima o poi non ci faccia un pensierino. Ciò che però conta è come la visione dei lavoratori museificati – o mummificati, che è un po’ la stessa cosa – si sia unita a una riflessione che conduco da tempo sull’attitudine umana a lasciare ai posteri una traccia, un segno testimoniale del proprio passaggio sulla terra.
Tutti vorremmo vivere per sempre e non potendo, per scontate ragioni, realizzare questo sogno, affidiamo la nostra esistenza a puri oggetti, materiali o immateriali. Alcuni si contentano della buona fama, altri fanno figli, altri ancora appesantiscono di selfie la memoria del cellulare, salvo scaricarla periodicamente, con tante grazie a Facebook, sul proprio profilo.
In realtà questa esigenza nasconde forse un vuoto, un’inquietudine di fondo che i “selfisti” provano a curare attirando su di sé l’attenzione degli altri. Non è però solo di questi Sfacciati che ho intenzione di parlare. Da prima che Internet fosse, gli artisti si cimentano nell’autoritratto. Il capostipite, secondo Plinio il Vecchio, fu l’architetto e scultore Teodoro: si ritrasse in una statua che stringeva nella mano sinistra una mosca, sotto le cui ali si trovava una quadriga; la quadriga, prodigio di cesello, fu rubata, l’autoritratto rimase. Il secondo ricordato da Plinio lo dipinse una “perpetua virgo”, tale Iaia di Cizico, guardandosi allo specchio. Nel mondo classico l’autoritratto era dunque roba da zitelle vanitose o da bimbi mal cresciuti.
Bisognerà aspettare il Velo della Veronica, il Mandylion – insomma, il tanto bistrattato Medioevo – perché l’autoritratto, con sì illustri ascendenti, acquisti quella dignità che gli sarà conferita a pieno titolo solo nel Rinascimento, quando nascono le prime gallerie di autoritratti e si scovano autoritratti di artisti ovunque, anche dove ne mancavano (emblematico il caso del Vasari che, nella prima edizione delle Vite, non individua autoritratti di Giotto, nella seconda gliene attribuisce tre).
È da allora che l’autoritratto diventa, con Dürer e Tiziano, Rembrandt e Courbet, un genere a sé, immagine di assoluta indipendenza ma anche sintomo di una cultura – la nostra – che ha fatto di Narciso, dell’uomo innamorato di se stesso, il suo nume tutelare.
Siamo poi così certi che un autoritratto di Van Gogh sia più nobile – almeno nelle intenzioni – di una foto di Andy Warhol, o di uno scatto digitale?
Stando ai dati oggettivi, il tempo dell’autoritratto, rispetto a quello del selfie, è molto dilatato. Di solito l’autoritratto non è un prodotto estemporaneo: nella sua lentezza sono compresi l’attesa dello sguardo, lo sguardo stesso e la fatica necessaria a tradurlo, con le innovazioni che la pratica e la meditazione suggeriscono.
Vi è però in comune, tra autoritratto e selfie, un elemento essenziale: non tanto l’assenza del pubblico, cercato dall’uno e dall’altro, quanto quella del committente. Selfie e autoritratti si creano anzitutto per se stessi, per soddisfare un’esigenza personale. Perciò è invalsa l’abitudine di considerarli la chiave di accesso al segreto degli autori.
Come scriveva Plotino, la nostra immagine reale non è quella restituita dallo specchio: “Rientra in te stesso e guarda: se ancora non ti vedi bello di dentro, fa’ come lo scultore di una statua che deve venir bella, il quale a volte toglie e a volte leviga, a volte liscia e a volte raffina”.
Al termine di questo processo, nascosto negli autoritratti, palese nei selfie, posto che l’idea che ci facciamo di una certa persona scaturisce dalla somma delle sue presentazioni, appare infine il volto: sarà semplicemente bello, o anche vero?
Non saprei proprio. La maschera è, non di rado, il male minore. E, come non sempre il volto è il clou di un autoritratto – non mancano autoritratti di spalle, o con il capo abbassato – non è affatto scontato che l’autoritratto equivalga al testamento di un pittore.
Mica tutti gli artisti sono inguaribili Sfacciati come quelli accorsi al mio richiamo!
Ve ne sono anche di chiusi e riservati, che mai si sognerebbero di affaticarsi sulla propria sacra effigie (diciamolo chiaramente: chi si autoritrae avrà pure un alto concetto di sé, ma non può essere privo di ironia).
Quanto a me, non posso farci niente: convinto come sono che, anche quando non dipingono se stessi, gli artisti facciano sempre autoritratti, preferisco gli autoritratti espliciti a quelli simulati, come, nella vita di ogni giorno, preferisco chi mi rivolge un saluto a chi mi ignora.
Sarà perché anch’io – come gli adorabili impiegati del Comune di Ragusa – amo scherzare con la gente che incrocia il mio cammino? E che cos’è l’arte se non un invito a stabilire, tra artista e osservatore, un rapporto di intesa, se non addirittura di amicizia e confidenza?
Squadriamoli attentamente, questi Sfacciati. Forse non tutti ci sembreranno simpatici. Ma se anche uno solo sarà riuscito a scalfire l’alienazione che ciascuno a suo modo sperimenta, questa mostra non sarà del tutto vana».

Info: Andrea Guastella, mail: andreguast@yahoo.com
Cell: 327.4059001

Mostra: Sfacciati
Curatore: Andrea Guastella
Autori: Giuseppe Alletto, Salvatore Aquino, Arturo Barbante, Salvo Barone, Antonio Bruno, Momò Calascibetta, Sebastiano Caldarella, Calusca, Carmelo Candiano, Mavie Cartia, Salvo Catania Zingali, Giulio Catelli, Salvatore Chessari, Carmelo Cilia, Franco Cilia, Giuseppe Colombo, Margherita Davì, Giuseppe Diara, Salvatore Difranco, Angelo Diquattro, Angelo Distefano, Giorgio Distefano, Atanasio Giuseppe Elia, Franco Filetti, Alessandro Finocchiaro, Sergio Fiorentino, Bruna Fornaro, Franco Fratantonio, Salvatore Fratantonio, Giovanna Gennaro, Alessandra Giovannoni, Sebastiano Grasso, Angelo Guastella, Mariella Guastella, Giovanni La Cognata, Giovanni Lissandrello, Massimo Livadiotti, Guglielmo Manenti, Sebastiano Messina, Milena Nicosia, Michele Nigro, Miriam Pace, Alida Pardo, Maurizio Pierfranceschi, Ettore Pinelli, Franco Polizzi, Francesco Rinzivillo, Giovanni Robustelli, Piero Roccasalvo Rub, Manlio Sacco, Franco Sarnari, Ruggero Savinio, Alfonso Siracusa, Marco Stefanucci, Paolo Strano, Luciano Vadalà, Giampaolo Viola, Amir Yeke
Organizzazione: Comune di Ragusa - Associazione Culturale Aurea Phoenix
Catalogo: Aurea Phoenix Edizioni
Video: Associazione Arte Eclettica – Aurea Phoenix Edizioni. Regia di Giancarlo Busacca
Luogo: Civica Raccolta “Carmelo Cappello”, Palazzo Zacco, via San Vito 158, Ragusa
Recapito telefonico: 0932 682486 (Centro Servizi Culturali, Ragusa)
Inaugurazione: giovedì 22 dicembre 2016, ore 19.00
Durata: 22 dicembre 2016 – 25 febbraio 2017
Orario: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì ore 8.00 – 14.00, 15.00 – 19.00; sabato ore 9.00 – 13.00, 15.00 – 19.00
Giorno di chiusura: domenica, lunedì e festivi
Ingresso: libero

Divino Amore. L’enigma dell’amore nell’arte contemporanea

Giovedì 15 Dicembre 2016

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Momò Calascibetta-La nicchia del cavallo- cm.50×40 acrilico 1987

Celeste o terreno? E’ un’interrogazione aperta sul tema dell’amore, declinato in cinque tappe espositive attraverso i linguaggi visivi dell’arte contemporanea, la mostra aPalazzo Bonocore di Palermo che si inaugura giovedì 15 dicembre, alle 18.  Divino Amore. L’enigma dell’amore nell’arte contemporanea” (15 dicembre 2016 - 31 marzo 2017) a cura di Alba Romano Pace è il titolo del progetto coordinato da Lucio Tambuzzo, direttore artistico della struttura che dal 2015 è sede del Museo del patrimonio culturale immateriale della Sicilia e dell’associazione I World.

In mostra, fino al 31 marzo, sono opere di Giuseppe Agnello, Salvo Agria, Francesco Balsamo, Momò Calascibetta, Cinzia Conte, Rita Casdia, Gaetano Cipolla, Sergio Fiorentino, Grazia Inserillo, Carlo Lauricella, Charles Maze, Maurice Mikkers, Andreas Söderberg - Collettivo Moment22, Collettivo Studio Forward, Collettivo mammasONica, Domenico Pellegrino, Giuseppe Pulvirenti, Ignazio Schifano, Marco Stefanucci, Giuseppe Zimmardi. Un’installazione di Domenico Pellegrinodedicata a santa Lucia, sarà invece ospitata nel vicino Oratorio della Carità ai Crociferi, cheritorna finalmente visitabile ogni giorno.
Ispirata alla tela di Tiziano del 1514, “Amor sacro Amor profano”, la mostra di Palazzo Bonocore esplora, nei suoi significati ed ambivalenze, l’eterno enigma dell’amore attraverso i linguaggi pluriformi dell’arte contemporanea. “Video, installazioni, pittura e scultura – spiega la curatrice Alba Romano Pace - intrecciano tecniche e linguaggi differenti, innestano identità culturale ed evocazioni sensoriali, focalizzando l’attenzione sull’interazione uomo-natura. Il proposito è quello di creare una sorta di “fenomenologia dell’amore”, mettendo in evidenza i contrasti e le affinità che intercorrono tra le sue due più forti espressioni: la celeste e la terrena, antitetiche solo in apparenza. Ogni elemento dell’amore può essere l’uno e il suo esatto contrario, ma riesce a mandare un unico messaggio di pace”.
Sul tema della mostra interviene anche, il direttore artistico Tambuzzo:“In una terra come la Sicilia, marcata attraverso i secoli da tradizioni e riti in costante oscillazione tra il religioso e il pagano, abbiamo voluto indagare l’evoluzione delle forme dell’amore. Il racconto è scandito attraverso cinque stanze: dalla tradizione classica fino al contemporaneo, una dialettica creativa reinterpreta nel presente elementi simbolici fortemente ancorati all’immaginario mentale dell’essere umano e carichi di ambivalenze”.
La mostra “Divino Amore” sarà visitabile a Palazzo Bonocore dal lunedì al venerdì (10-13.30 e 14.30-17.30)
Struttura dell’esposizione “Divino Amore”
Le Cinque Stanze: il percorso della mostra si articola in cinque stanze, in ognuna viene declinato un tema, secondo i due aspetti (terreno e celeste) dello stesso argomento.
1. Il Chiarore e l’Oscurità 
Si è spesso attribuita all’amore spirituale una luce divina, simbolo della rivelazione, mentre la notte nasconde grazie all’oscurità, permettendo ciò che la vista vieta. Nell’opera del Collettivo mammasONica si invita lo spettatore a passare “attraverso lo spettro” luminoso, vivendo un viaggio sensoriale dal buio alla luce, attraversando i colori. Una ricerca ispirata dai maestri del tonalismo, che modulavano le tonalità sulle sequenze che interagivano con la psiche. Lo spettatore si ritrova immerso nei pigmenti luminosi seguendo un percorso che va da una fase di osservazione, ad una di esplorazione e contemplazione, senza conoscerne la sequenza e lasciandosi trasportare dall’emozione.
2. Corpo spirituale e Corpo materiale 
Il corpo è al centro dell’amore, è tramite e limite tra l’Io e l’Altro. Il corpo può essere macroscopico, come il grande uomo-totem di Giuseppe Zimmardi o microscopico, come l’opera Minibaby di Rita Casdia, accompagnata dalla sua scultura di capelli, elemento del desiderio, portato al suo estremo e quasi disumanizzato. L’installazione diGaetano Cipolla con i suoi disegni fragili e dal tratto sintetico, racconta la convivenza quotidiana tra l’anima di un uomo ed il suo involucro di pelle e carne. Frammenti di corpo sono le reliquie dei santi, che hanno la capacità di generare miracoli: da qui gli ex-voto dei fedeli per grazia ricevuta, rievocati negli Amori immaginari di Giuseppe Pulvirenti, che gioca con le sagome ed i riflessi degli ex-voto che rappresentano una parte del Sé, tanto spirituale quanto reale, poiché ognuno di essi indica dettagliatamente la parte del corpo salvata dal miracolo.
3. L’acqua purificatrice e la Fonte della vita 
Trasparente e fluida l’acqua da sempre è il simbolo della vita. L’acqua del Fonte battesimale lava dai peccati mentre l’acqua della Fonte dell’eterna gioventù è l’emblema della fertilità e del piacere. Dio manda il Diluvio Universale per punire e purificare le colpe degli uomini, Giove si trasforma in pioggia per fecondare Danae. Elemento femminile per eccellenza, l’acqua si presta anch’essa alle ambivalenze.  Nel video delColletivo Studio Forward, l’immersione è totale, purificante e sensoriale. Un contatto ritrovato con la natura in una sensazione di libertà. Lo stesso legame uomo-natura si ritrova nell’installazione di Carlo Lauricella: qui è il sale, elemento d’acqua, che nelle sue cristallizzazioni evoca la purezza e l’eternità. Di acqua e sale si compongono anche le lacrime, che analizzate al microscopio dall’olandese Maurice Mikkers, si scoprono possedere una cristallizzazione differente a seconda del motivo per cui si piange. Affascinanti e misteriose, le lacrime sono esaminate nella loro bellezza segreta dal microscopio di Mikkers che le rende concrete agli occhi dello spettatore. Alla pioggia che lava e feconda fanno riferimento le gocce di Ignazio Schifano e l’opera Preghiere diFrancesco Balsamo, un piccolo oggetto che trattiene in sé la bellezza e l’intimità di un moderno ex-voto, un ombrello che come una conca raccoglie la pioggia di preghiere e desideri dei fedeli. L’acqua sorgente di piacere appare nella fonte dell’eterna giovinezza dipinta da Momò Calascibetta, dove la Fontana della Vergogna di Piazza Pretoria diviene un inno d’acqua al divertimento, alla gioia e al piacere. Lo spettatore è infine invitato ad immergersi in un bagno di luce nell’opera di Cinzia Conte, che immagina uno spazio acquatico tra le mura del palazzo creando un’atmosfera tra magia e meditazione.
4. L’Eden e il Giardino delle delizie 
La natura è una silenziosa complice dell’amore. Il giardino è metafora della bellezza, è quello spazio d’eccezione creato da Dio affinché si amassero l’uomo e la donna e da questi miseramente perduto. L’opera L’anima e il corpo di Giuseppe Agnello evoca Adamo ed Eva, divenuti parte di quel giardino ormai arido, dove non fioriranno nuovi boccioli ma gli arbusti si innesteranno nell’animo e nella carne dell’essere umano come un memento del tempo passato, nostalgia e condizione esistenziale. Nell’opera delColletivo svedese Moment22, la mela ormai morsa che respira affannosamente come se fosse divenuta viva, è il simbolo del peccato, dell’atto compiuto e dell’impossibilità del tornare indietro, dello sbaglio ormai irrecuperabile. Ma il giardino è anche il luogo che attende le anime purificate dopo la morte e la natura, nel suo essere prorompente e rigogliosa, è ugualmente simbolo di lussuria e sessualità. Dal Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch nascono gli enormi fiori rossi, le liane e la vegetazione fantastica dell’opera di Grazia Inserillo. Nelle Anamorfosi di Charles Maze, le piante, fiori e animali avvolgono e attraverso i profumi, i colori e la loro ambiguità, personificano l’eros e l’ebbrezza dell’abbandono dei sensi.
5. Veneri e Sante 
La donna attraverso il mito e la sua rappresentazione, è la protagonista di questa sezione, così come è la protagonista nel quadro di Tiziano che fu il dono di nozze di Nicolò Aurelio, Gran cancelliere di Venezia, alla sua sposa. Le due donne che vi sono rappresentate indicano l’amore nelle sue due forme ovvero la beltà ornata e la beltà disadorna. Venere, svestita, pura nella sua nudità, si rivolge alla sposa ancora adorna di gioielli e vanità, per indicarle la via verso l’amore. Il gioco di sguardi tra le due donne, i loro corpi, uno nudo l’altro coperto, l’ambiguità che si crea tra il nascondere e il mostrare, sono il motivo ispiratore di questa sala dove, tra gli affreschi dell’alcova, Veneri e Sante, dialogano tra loro confondendo lo spettatore. Nel ritratto di Sergio Fiorentino, il sorriso enigmatico della donna e quel tratto blu appena accennato sul suo capo, pongono la figura tra il celeste ed il terreno, senza riuscire a posizionarla in nessuno dei due elementi. Il volto di donna di Marco Stefanucci sorge dal buio come una visione. Al mondo onirico appartengono i personaggi di Madame Papier, il video diSalvo Agria, che porta “oltre lo specchio” facendo immergere per sette minuti nell’antro di un antico palazzo incantato della vecchia Palermo, rendendo partecipi dei suoi misteri e complici dei suoi fantasmi. Inebriate e prigioniere di una giostra stregata sono leDame di carta di Ignazio Schifano, che nonostante la corposità della materia pittorica, sembrano anch’esse per svanire sotto lo sguardo dello spettatore. L’Omaggio a Santa Rosalia e la restituzione del giglio rubato si concretizzanonel carro di Fabrizio Lupo e soprattutto con la scultura di Domenico Pellegrino, entrambi già parte della collezione permanente di Palazzo Bonocore. La Santa Rosalia di Pellegrino é attraversata da un vento divino che le scuote l’anima, il viso e le vesti: la notte del 4 settembre del 2014, la statua fu rovinata perché qualcuno strappò il giglio d’argento  (insieme ad un dito). In occasione della mostra Divino Amore, la Michele Matranga Gioielli ridona alla Santa il suo fiore originale, realizzato, su disegno di Domenico Pellegrino, dal maestro orafo Michele Matranga e dal maestro argentiere Benedetto Gelardi. Un gesto generoso che si tinge di una forte simbologia: quel fiore é una metafora di Palermo, l’omaggio vuole essere d’auspicio al rifiorire della città.