Please, hold the line!
Venerdì 29 Settembre 2017
Mezzo secolo dopo la frana che colpì Agrigento, una mostra
a cura di Dario Orphée La Mendola ricorda la tragedia.
opere di
Salvo Barone Momò Calascibetta Alfonso Siracusa
19 Luglio _20 Settembre 2017
Si svolgerà a Favara, presso la Farm Cultural Park, il 19 luglio, alle ore 18:15, una conversazione libera sulla frana di Agrigento del 1966, in contemporanea all’inaugurazione della mostra “Agrigentérotique, a cura di Dario Orphée La Mendola, le cui opere site-specific di Salvo Barone, Momò Calascibetta e Alfonso Siracusa riflettono artisticamente su quanto accaduto nella città dei Templi dalla speculazione edilizia a oggi.Tre opere site-specific, dai titoli in latino, che possono essere “lette” singolarmente o come scene di un’unica opera teatrale, offrono un’indagine estetica su quanto accaduto nella città dei Templi nel corso del Novecento, dalla devastazione urbana all’eredità contemporanea. Esse, similmente a persone cui è stata violata la serenità domestica, sono state “accolte”, cioè esposte, presso la Farm di Favara, dimostratasi favorevole al progetto, con un mese di anticipo rispetto alla data dell’anniversario, e inaugurate simbolicamente il 19 Luglio.
Nel corso della serata, lo sguardo sarà focalizzato su vari temi, storici e attuali per la città di Agrigento: lo stato della cattedrale e quello prettamente geologico dei costoni su cui insiste l’espansione urbana, le inchieste giornalistiche e gli impatti sociologici ed estetici.
La mostra, fondamentalmente sperimentale, e che s’ispira ai principi della permacultura, è stata intramezzata da differenti iniziative: da esposizioni private a improvvise installazioni urbane temporanee, senza un termine preciso e con una programmazione in costante aggiornamento. Ciò è accaduto soprattutto per avviare un processo di allontanamento dalle regole imposte dal sistema dell’arte contemporanea, oggi purtroppo non in grado di ironizzare su stessa, avendo smarrito il suo sguardo infantile. Le opere presenti alla Farm, riproduzioni degli originali, sono state esposte in appositi allestimenti installativi, all’aperto, rendendo il fruitore parte integrante dell’opera, mettendolo in relazione con l’atmosfera circostante, accompagnate da una prosa di Dario Orphée La Mendola.
Salvo Barone “Obstupesco” (2017), ha illustrato due donne e un uomo in atteggiamento smarrito, le cui posizioni anatomiche, che sembrano tratte da fotografie storiche, sono prive di qualsiasi riferimento preciso, perché indefinibile è l’atmosfera che li avvolge. Essi, come se fossero stati appena sfollati e desiderassero comprendere il loro destino, immobilizzati in un costante presente, appaiono in cerca di conforto, osservando inermi la tragica frantumazione della propria abitazione, ma divengono involontariamente parte di un ipotetico appartamento franato, il quale potrebbe essere il loro, abbandonato in fretta per mettersi in sicurezza, congelato dal tempo.
Momò Calascibetta “Cui prodest (2017), ha analizzato ironicamente l’inettitudine dell’artista contemporaneo al tempo della speculazione edilizia in Italia, il cui sforzo non è mai stato all’altezza di produrre opere che potessero fronteggiare il potere, favorendolo invece egoisticamente. La fronte corrugata del protagonista solitario suggerisce il senso di sofferenza durante l’atto poietico, il cui mancato prodotto, sottolineato dalla carta igienica intonsa intorno, dimostra che ancora tanto deve essere fatto. La percezione della realtà interna è influenzata dalla scelta prospettica, giocando meravigliosamente con i chiaroscuri dei panneggi, inscrivendo la scena in una dinamicità espressivamente forte.
Alfonso Siracusa “Error communis” (2017), ha recuperato oggetti collegati storicamente alla frana, inserendoli in un ambiente caratterizzato dalla duplicità, rendendo evidente una frase della celebre inchiesta Martuscelli. Le reti metalliche, divise in basso dal coltello che effettua un taglio con il passato, riportano le stelle della Marina militare raffiguranti la costellazione del cancro. Più avanti una finestra, che incornicia un pilastro del viadotto posto dirimpetto alla città, se aperta svela, sotto l’influsso di simbologie alchemiche riattualizzate, la vittima della frana posta su una mappa della città recante punti d’interesse franoso, il cui mancato intervento allarma l’osservatore allo specchio.
Dario Orpheè La Mendola
Titolo: Agrigentérotique
a cura di: Dario Orphée La Mendola
artisti: Salvo Barone, MoMò Calascibetta, Alfonso Siracusa
spazio: Farm Cultural Park - cortile Bentivegna 92026 Favara
inaugurazione: Mercoledì 19 Luglio 2017 ore 19
organizzazione generale: Andrea Bartoli e Florinda Saieva
public relation: Salvo Sciortino e Giovanna Arnone
fotografie: Gerlando Sciortino
digital animation | visual design: Elia Zaffuto e Giuseppe Miccichè
webmaster Farm: Rosario Castellana
durata: 19 Luglio | 20 Settembre 2017
orario: tutti i giorni 10-24
info
http://www.farmculturalpark.com
Contact: +39 3289749798 Dario Orphée La Mendola
ufficio stampa: Paola Feltrinelli paolafeltrinelli79@gmail.com
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Farm Cultural Park | Agrigentérotique
a cura di Dario Orphée La Mendola
Salvo Barone Momò Calascibetta Alfonso Siracusa
Half a century after the landslide that hit Agrigento, an exhibition by Dario Orphée La Mendola recalls the tragedy. Three site-specific works, from Latin titles, which can be “read” individually or as scenes of a single theatrical work, offer an aesthetic investigation of what happened in the city of the Temples during the twentieth century, from urban devastation to Contemporary heritage. Similarly to people who have been violated the domestic serenity, they were “welcomed”, that is exhibited at the Farm of Favara, which proved to be favorable to the project, one month in advance of the anniversary date, and symbolically inaugurated on 19 July. The exhibition, fundamentally experimental and inspired by the principles of permaculture, has been interspersed with various initiatives: from private exhibitions to temporary temporary urban installations, without a precise term and with a constantly updated schedule. This has happened especially to start a process of getting away from the rules imposed by the contemporary art system, today unfortunately not being able to ironize on itself, having lost its childish look. The works at the Farm, reproductions of the original, have been exhibited in special outdoor installations, making the guest an integral part of the work, putting it in relation to the surrounding atmosphere, accompanied by a prose by Dario Orphée La Mendola.
Salvo Barone in “Obstupesco” (2017) depicted three lost-minded persons: two women and a man, whose anatomical positions, which appear to have been taken from historical photographs, are devoid of any precise reference, because the ambience that envelops them is indefinable. They, as if they had just been displaced and wanted to understand their fate, immobilized in a constant present, appear to be looking for comfort, observing the tragic crushing of their dwelling unintentionally, but becoming involuntarily part of a hypothetical sloping apartment, which could be theirs, abandoned in a hurry to secure themselves, frozen by time.
Momò Calascibetta in “Cui prodest?”(2017), ironically analyzed the ineptness of the contemporary artist at the time of construction speculation in Italy, whose effort has never been able to produce works that could face power, but on the contrary favoring it egoistically. The corrugated face of the lonely protagonist suggests the sense of suffering during the act of initiation, whose lack of product, underlined by the toilet paper intoned around, shows that much remains to be done. The perception of the inner reality is influenced by the prospective choice, playing wonderfully with the chiaroscuro of the drama, inscribing the scene in an expressively strong dynamism.
Alfonso Siracusa in “Error communis”(2017) retrieved historically linked objects to the landslide, inserting them in a context characterized by duplicity, making a statement of the famous Martuscelli investigation apparent. The metal nets, divided by the knife that makes a cut with the past, portray the stars of the Navy depicting the constellation of cancer. Further on, a window framing a pillar of the viaduct facing the city, if opened reveals, under the influence of alchemically re-altered symbologies, the victim of the landslide placed on a map of the city with landmark points of landslide interest, whose failure to intervene alarms the observer in the mirror.
Traslation by Annareta Sciacca
Mezzo secolo dopo la frana di Agrigento,una mostra al Farm Cultural Park a cura di Dario Orphèe ricorda la tragedia.
Nella splendida cornice dello Spazio Gucciardello di Vittoria si inaugura il 16 giugno 2017, in occasione della decima edizione del “Vittoria Jazz Festival” (sotto la direzione artistica dell’“enfant prodige” del jazz nostrano, il sassofonista Francesco Cafiso) la mostra personale di Momò Calascibetta dal titolo “ZUCCHERO & CATRAME” a cura di Luciano D’ Amico che, con una selezione di quaranta opere storiche tra dipinti, disegni e sculture, illustra i temi e i linguaggi cari all’artista, da sempre attento alla ricerca psicologica svelando l’inconscio, le pulsioni e i sentimenti dell’animo umano. Oggetto della sua attenzione per un relativo periodo storico è stata quella fetta di creature umane più indifese, più deboli e innocenti. In mostra infatti il ciclo di lavori inediti de’ “ i bambini sulle strade del mondo” (anni 2004/2006) che perdendo il riferimento familiare come modello da imitare, riflettono senza mediazione le perversioni dell’attuale sistema della società moderna; un semplice atto d’accusa contro “l’homo economicus”, rivelatosi produttore di follia, esclusione, miseria, fame e ingiustizia attraverso il personalissimo codice simbolico dell’artista. Quei bambini di “ZUCCHERO”, prodotto dei trafficanti di morte che dopo 10 anni attraverseranno il nostro Mediterraneo per sbarcare in Sicilia con le loro madri bambine.
Palazzo Garofalo dal 23 febbraio all’11 marzo 2017
Cresce l’interesse nel territorio ibleo per la prestigiosa iniziativa, unica nel suo genere, della mostra interculturale d’arte “Migrantes”.
Trentanove artisti professionisti, anche giovani talenti; ragazzi coinvolti in diversi centri di accoglienza; dipinti, fotografie, sculture, testimonianze video con canti, poesie e danze: questi i soggetti e le loro produzioni all’interno di un percorso che diventa metafora esistenziale.
Artisti:
ARTURO BARBANTE, ILDE BARONE, SALVO BARONE, SANDRO BRACCHITTA, MOMÓ CALASCIBETTA, CARMELO CANDIANO, MAVIE CARTIA, SALVO CARUSO, DANIELE CASCONE, SALVO CATANIA, EZIO CICCIARELLA, GIUSEPPE COLOMBO, GIUSEPPE DIARA, SALVATORE DIFRANCO, GIUSEPPE ANTHONY DI MARTINO, ANGELO DI QUATTRO, ALESSANDRO FINOCCHIARO, GIOVANNA GENNARO, TONY GENTILE, AMIR YEKE, GIOVANNI IUDICE, GIOVANNI LA COGNATA, GIUSEPPE LEONE, GIOVANNI LISSANDRELLO, GIANNI MANIA, SEBASTIANO MESSINA, DARIO NANÌ, LUIGI NIFOSÌ, MICHELE NIGRO, ALIDA PARDO, FRANCO POLIZZI, MAURIZIO POMETTI, LUIGI RABBITO, FRANCESCO RINZIVILLO, GIOVANNI ROBUSTELLI, PIERO ROCCASALVO, FABIO ROMANO, FRANCO SARNARI, ALFONSO SIRACUSA.
Ogni anno decine di milioni di persone fuggono dal loro paese d’origine: abbandonano aree devastate da conflitti e guerre, dove la libertà è un miraggio e la violenza è all’ordine del giorno. Chi fugge, il più delle volte, non lo fa in cerca di un futuro migliore, ma semplicemente per conservare la vita sua e dei propri cari. Questi concetti sono ormai diventati di dominio comune. Se infatti la storia ha conosciuto fasi di grandi migrazioni, mai esse sono avvenute nello stesso periodo, a vastissima scala e con l’impressionante rapidità dei nostri giorni. Gli stranieri che sino poco fa vedevamo solo al cinema o di cui leggevamo sui giornali, circolano adesso per le nostre strade, sbandati e in cerca di attenzione. Accorgersi della loro presenza non significa però che i migranti cessino di essere oggetto di carità postale o di astratta discussione. Al contrario, i problemi pressanti che la loro realtà comporta e la nostra attitudine ad assuefarci al dolore fanno sì che i tormenti della coscienza, quando ci sono, si conformino al respiro delle onde che cancellano implacabili le tracce degli sbarchi.
Forse solo gli artisti sanno davvero interpretare ciò che accade a coloro che abbandonano casa. Lo sanno in quanto disadattati essi stessi, estranei a una società che fa dell’utile il valore assoluto. Lo sanno in quanto corpi avvezzi al peso e alla transitorietà della materia. Lo sanno soprattutto in quanto esperti dell’umano, e per ciò stesso costretti a identificarsi con l’altro.
A giudicare dai lavori esposti in mostra, il migrante è anzitutto un’identità in transito. In questo senso, ciascun uomo è un migrante, tanto la bimba che sogna in valigia di Alida Pardo quanto gli automobilisti incolonnati sul sentiero della vita di Luigi Rabbito.
Cos’è in fondo l’esistenza se non l’esplorazione di un territorio sconosciuto? Perciò il quadro di Ilde Barone si intitola semplicemente Nata – e credo in ciò si colga un’identificazione personale – e Giovanni Robustelli, con le sue alghe ondeggianti, può a ragione evocare la “coscienza dell’io”: l’io è un groviglio di pensieri e di emozioni, quasi sempre in contrasto tra loro, che si agita come una fiamma in direzione del cielo. Anche se, come accade alle alghe, salire in superficie significa morire.
Il viaggiatore muore al suo passato. Il futuro è una questione di prospettiva. E in prospettiva, quasi osservandolo dall’alto, Michele Nigro dipinge il Mediterraneo come un tappeto colorato. È il nostro mare, e i migranti di oggi sono i padri di ieri. Non siamo forse un unico tessuto? Che cosa distingue siriani e ugandesi dalle contadine in scialle nero di Giuseppe Colombo, dalla nonna che si bagna i piedi sulla spiaggia di Giuseppe Anthony Dimartino, dai viandanti affacciati a un vagone ferroviario di Giovanni Iudice, da quelli che ci sorridono dai vetri di un autobus di Luigi Nifosì o dall’uomo di colore disperso per le strade di Palermo di Giovanni La Cognata? Niente.
Nelle nostre serre, come nei campi percorsi dal Seminatore di Millet evocato da Franco Sarnari, la vita è lavoro. Le grandi mani di Momò Calascibetta e i piedi di Salvatore Difranco sono uguali per tutti. Come oggi, ieri il passaggio per conseguire un destino migliore è una porta stretta, irta di punte come quella assemblata da Carmelo Candiano. Chiunque la attraversi, sia l’Argonauta dal volto segnato di Salvo Caruso, sia la figura nuda e sperduta in una stanza di Dario Nanì, sia la sagoma svestita in forma di persona di Fabio Romano, porterà sulla pelle le tracce dei chiodi.
Altri artisti preferiscono soffermarsi sulle dinamiche del viaggio e sulle conseguenze che esso apporta al fisico e alla psiche del migrante. Partiamo dal viaggio: il mare, lo spazio da percorrere, è davvero sconfinato, come nel lavoro di Sandro Bracchitta; il tragitto è periglioso, come quello della barca di carta di Maurizio Pometti; il suo approdo è un magma indistinto che solo per caso si chiama Sampieri, come nel dipinto di Alessandro Finocchiaro.
A volte, come nel quadro di Mavie Cartia, il silenzio dei flutti è confortato dalla speranza di un avvistamento. Ma non avevano avvistato i soccorsi anche i dispersi della Zattera della Medusa?
Spesso, anzi spessissimo, al viaggio segue il naufragio, con la speranza che ironicamente si converte in di-speranza come nel dipinto di Franco Polizzi. Abbiamo quindi il corpo morto a pochi metri dalla sarcastica linea di traguardo di Salvo Catania Zingali, i cadaveri velati di uno scatto di Gianni Mania, il vortice impetuoso di Giovanni Lissandrello, il bimbo pupazzo squarciato di Piero Roccasalvo Rub, la memoria dell’acqua di Amir Yeke.
Dopo lo sbarco, restano le barche sulla spiaggia di Giuseppe Diara, i fiori in mare di Giovanna Gennaro, i legacci e la pietra di Ezio Cicciarella, insomma, le reliquie, i condensati di memoria in cui, come nelle conchiglie, riecheggia ancora l’eco del lungo navigare: si guardi al copertone salvagente dell’istallazione di Alfonso Siracusa e al legno decorato da Tony Gentile, proveniente da un relitto.
E i migranti? Quando giungono vivi sono lieti per lo scampato pericolo come il naufrago di Arturo Barbante, ma nella maggior parte dei casi li attendono l’indifferenza, l’alienazione, la riduzione a un numero di cui parlano i lavori di Angelo Diquattro, di Francesco Rinzivillo e di Salvo Barone.
Dobbiamo quindi concludere che la terra promessa confina con l’orrore, che la “civiltà” è barbarie e la barbarie civiltà? È lo spettacolo che la cronaca, prima ancora dell’arte, ci trasmette.
Vediamo perennemente tradotti in spaventevole realtà il racconto di Caino e quello di Noè e sappiamo, noi per primi, di non stare di casa in nessun luogo. Anche il Figlio dell’uomo non aveva, come i migranti, una pietra dove posare il capo. “Noi” – lo notava in uno splendido saggio Glauco Cambon – “siamo la sua immagine invertita. Forse demoniaca”.
E tuttavia se, come forse accade, per altre vie, agli oranti di Giuseppe Leone, agli amici di Sebastiano Messina e al libero pensatore di Daniele Cascone, “l’arte contemporanea […] ci avrà condotto ad affrontare l’abisso della nostra dispersione, ci avrà dato la possibilità di istallarci […] in un mondo nuovo a venire e in un linguaggio valido; di riessere umani. Nel frattempo, attendati in terra di nessuno, viviamo l’inferno dell’attesa. Possiamo solo sperare che sia infine un purgatorio”.
Curatore generale: Giuseppe Di Mauro
Direttore artistico: Salvo Barone
Critici:
- ELISA MANDARÀ
- ANDREA GUASTELLA
Consulenza scientifica: Cattedra di “Dialogo tra le culture” di Ragusa
Coorganizzatori: Alcuni Uffici della Diocesi di Ragusa
✔Cultura
✔Caritas
✔Migrantes
✔Missioni
◻ CALENDARIO GENERALE ◻
◽▫Ragusa▫◽
Palazzo Garofalo, dal 23 febbraio all’11 marzo
Inaugurazione 23 febbraio ore 19.00
Lun-sab 9.30-12.30 (su richiesta); 16.00-19.00
◽▫Comiso▫◽
Foyer del Teatro Naselli, dal 4 aprile al 19 aprile
Inaugurazione 4 aprile ore 19.00
Lun-sab 9.30-12.30; 17.00-20.00
◽▫Vittoria▫◽
Sala Mazzone (ex ENEL), dal 22 aprile al 14 maggio
Inaugurazione 22 arpile ore 19.00
Lun-sab 9.30-12.30 (su richiesta); 17.00-20.00
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Sarà disponibile pure il catalogo della mostra contenente le opere degli artisti coinvolti. Tale pubblicazione, oltre agli interventi nell’aerea prettamente artistica, conterrà anche contributi sul fenomeno migratorio, in modo da contestualizzare meglio l’evento. Il ricavato servirà per sostenere le spese della mostra stessa.
Per ulteriori informazioni:
Tel.: 349 3009999 (10.30-12.30; 16.00-18.00)
E-mail: ufficiocultura@diocesidiragusa.it
http://cultura.diocesidiragusa.it/
Si inaugura giovedì 22 dicembre 2016, alle ore 19.00, presso la Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco a Ragusa, la mostra Sfacciati, cura di Andrea Guastella. L’esposizione raccoglie oltre cinquanta autoritratti d’artista che l’Amministrazione Comunale di Ragusa è lieta di ospitare nelle splendide Sale di Palazzo Zacco, dove potranno incontrarsi «con le sculture di Carmelo Cappello» offrendo ai ragusani e ai tanti turisti che ogni giorno visitano il museo «una riflessione su un genere – l’autoritratto – che forse più di tutti contraddistingue la nostra civiltà, ma che gli artisti sono ben lungi dall’aver esaurito quanto a forza e potenzialità».
I visitatori potranno inoltre soffermarsi su un video di Giancarlo Busacca con interventi critici di Andrea Guastella dedicato al tema dell’autoritratto.
Il corto, presentato in occasione dell’inaugurazione della mostra, sarà proiettato a ciclo continuo nell’aula video di Palazzo Zacco.
In occasione della mostra il Comune di Ragusa e l’Associazione Aurea Phoenix organizzano il concorso Realizza il tuo autoritratto. Il concorso, riservato a chi pratica il disegno e la pittura, prevede la creazione di un’opera artistica, su tela, su tavola o su carta, di formato massimo 70×50 cm, ed è suddiviso in quattro sezioni: 1. Scuola primaria; 2. Scuola media inferiore; 3. Scuola media superiore; 4. Sezione libera, aperta a chiunque voglia partecipare, senza limiti di età e condizione
Gli elaborati dovranno pervenire entro e non oltre il 7 gennaio 2017, ore 13.00, presso la Civica Raccolta Cappello di Via San Vito 158. I vincitori, giudicati da una giuria designata dal Comune di Ragusa e dall’Associazione Aurea Phoenix e presieduta dal Sindaco, saranno premiati con la possibilità di tenere una mostra in uno spazio pubblico e con premi offerti dall’Associazione Aurea Phoenix e da sponsor. La premiazione avverrà sabato 14 gennaio alle ore 17.00 presso Palazzo Zacco.
Dal testo in catalogo (Aurea Phoenix Edizioni) di Andrea Guastella: «Voglio essere sfacciato anch’io, confessarvi senza peli sulla lingua l’intera verità.
Questa mostra è stata, come si suole dire, un incidente. Avevo ricevuto, insieme a un amico, un incarico istituzionale: passare in rassegna gli uffici del Comune di Ragusa per individuare, tra le opere d’arte che ospitano, le più interessanti, allo scopo di predisporre la loro ricollocazione in un contesto museale.
Occorreva, ovviamente, interloquire con i dipendenti, spiegando loro come la nostra ispezione non fosse finalizzata a licenziamenti di massa, e facendoci spiegare a nostra volta dove si trovassero statue e dipinti, spesso conservati in magazzini o locali chiusi al pubblico, per tracciarli e stilare le relative schede. Ora, la risposta degli impiegati statisticamente più frequente era: “Qui gli unici pezzi da museo siamo noi che vi parliamo!”.
Lo avevano ripetuto con tanta convinzione da suggerirmi una rassegna dei loro ritratti, e chissà che prima o poi non ci faccia un pensierino. Ciò che però conta è come la visione dei lavoratori museificati – o mummificati, che è un po’ la stessa cosa – si sia unita a una riflessione che conduco da tempo sull’attitudine umana a lasciare ai posteri una traccia, un segno testimoniale del proprio passaggio sulla terra.
Tutti vorremmo vivere per sempre e non potendo, per scontate ragioni, realizzare questo sogno, affidiamo la nostra esistenza a puri oggetti, materiali o immateriali. Alcuni si contentano della buona fama, altri fanno figli, altri ancora appesantiscono di selfie la memoria del cellulare, salvo scaricarla periodicamente, con tante grazie a Facebook, sul proprio profilo.
In realtà questa esigenza nasconde forse un vuoto, un’inquietudine di fondo che i “selfisti” provano a curare attirando su di sé l’attenzione degli altri. Non è però solo di questi Sfacciati che ho intenzione di parlare. Da prima che Internet fosse, gli artisti si cimentano nell’autoritratto. Il capostipite, secondo Plinio il Vecchio, fu l’architetto e scultore Teodoro: si ritrasse in una statua che stringeva nella mano sinistra una mosca, sotto le cui ali si trovava una quadriga; la quadriga, prodigio di cesello, fu rubata, l’autoritratto rimase. Il secondo ricordato da Plinio lo dipinse una “perpetua virgo”, tale Iaia di Cizico, guardandosi allo specchio. Nel mondo classico l’autoritratto era dunque roba da zitelle vanitose o da bimbi mal cresciuti.
Bisognerà aspettare il Velo della Veronica, il Mandylion – insomma, il tanto bistrattato Medioevo – perché l’autoritratto, con sì illustri ascendenti, acquisti quella dignità che gli sarà conferita a pieno titolo solo nel Rinascimento, quando nascono le prime gallerie di autoritratti e si scovano autoritratti di artisti ovunque, anche dove ne mancavano (emblematico il caso del Vasari che, nella prima edizione delle Vite, non individua autoritratti di Giotto, nella seconda gliene attribuisce tre).
È da allora che l’autoritratto diventa, con Dürer e Tiziano, Rembrandt e Courbet, un genere a sé, immagine di assoluta indipendenza ma anche sintomo di una cultura – la nostra – che ha fatto di Narciso, dell’uomo innamorato di se stesso, il suo nume tutelare.
Siamo poi così certi che un autoritratto di Van Gogh sia più nobile – almeno nelle intenzioni – di una foto di Andy Warhol, o di uno scatto digitale?
Stando ai dati oggettivi, il tempo dell’autoritratto, rispetto a quello del selfie, è molto dilatato. Di solito l’autoritratto non è un prodotto estemporaneo: nella sua lentezza sono compresi l’attesa dello sguardo, lo sguardo stesso e la fatica necessaria a tradurlo, con le innovazioni che la pratica e la meditazione suggeriscono.
Vi è però in comune, tra autoritratto e selfie, un elemento essenziale: non tanto l’assenza del pubblico, cercato dall’uno e dall’altro, quanto quella del committente. Selfie e autoritratti si creano anzitutto per se stessi, per soddisfare un’esigenza personale. Perciò è invalsa l’abitudine di considerarli la chiave di accesso al segreto degli autori.
Come scriveva Plotino, la nostra immagine reale non è quella restituita dallo specchio: “Rientra in te stesso e guarda: se ancora non ti vedi bello di dentro, fa’ come lo scultore di una statua che deve venir bella, il quale a volte toglie e a volte leviga, a volte liscia e a volte raffina”.
Al termine di questo processo, nascosto negli autoritratti, palese nei selfie, posto che l’idea che ci facciamo di una certa persona scaturisce dalla somma delle sue presentazioni, appare infine il volto: sarà semplicemente bello, o anche vero?
Non saprei proprio. La maschera è, non di rado, il male minore. E, come non sempre il volto è il clou di un autoritratto – non mancano autoritratti di spalle, o con il capo abbassato – non è affatto scontato che l’autoritratto equivalga al testamento di un pittore.
Mica tutti gli artisti sono inguaribili Sfacciati come quelli accorsi al mio richiamo!
Ve ne sono anche di chiusi e riservati, che mai si sognerebbero di affaticarsi sulla propria sacra effigie (diciamolo chiaramente: chi si autoritrae avrà pure un alto concetto di sé, ma non può essere privo di ironia).
Quanto a me, non posso farci niente: convinto come sono che, anche quando non dipingono se stessi, gli artisti facciano sempre autoritratti, preferisco gli autoritratti espliciti a quelli simulati, come, nella vita di ogni giorno, preferisco chi mi rivolge un saluto a chi mi ignora.
Sarà perché anch’io – come gli adorabili impiegati del Comune di Ragusa – amo scherzare con la gente che incrocia il mio cammino? E che cos’è l’arte se non un invito a stabilire, tra artista e osservatore, un rapporto di intesa, se non addirittura di amicizia e confidenza?
Squadriamoli attentamente, questi Sfacciati. Forse non tutti ci sembreranno simpatici. Ma se anche uno solo sarà riuscito a scalfire l’alienazione che ciascuno a suo modo sperimenta, questa mostra non sarà del tutto vana».
Info: Andrea Guastella, mail: andreguast@yahoo.com
Cell: 327.4059001
Mostra: Sfacciati
Curatore: Andrea Guastella
Autori: Giuseppe Alletto, Salvatore Aquino, Arturo Barbante, Salvo Barone, Antonio Bruno, Momò Calascibetta, Sebastiano Caldarella, Calusca, Carmelo Candiano, Mavie Cartia, Salvo Catania Zingali, Giulio Catelli, Salvatore Chessari, Carmelo Cilia, Franco Cilia, Giuseppe Colombo, Margherita Davì, Giuseppe Diara, Salvatore Difranco, Angelo Diquattro, Angelo Distefano, Giorgio Distefano, Atanasio Giuseppe Elia, Franco Filetti, Alessandro Finocchiaro, Sergio Fiorentino, Bruna Fornaro, Franco Fratantonio, Salvatore Fratantonio, Giovanna Gennaro, Alessandra Giovannoni, Sebastiano Grasso, Angelo Guastella, Mariella Guastella, Giovanni La Cognata, Giovanni Lissandrello, Massimo Livadiotti, Guglielmo Manenti, Sebastiano Messina, Milena Nicosia, Michele Nigro, Miriam Pace, Alida Pardo, Maurizio Pierfranceschi, Ettore Pinelli, Franco Polizzi, Francesco Rinzivillo, Giovanni Robustelli, Piero Roccasalvo Rub, Manlio Sacco, Franco Sarnari, Ruggero Savinio, Alfonso Siracusa, Marco Stefanucci, Paolo Strano, Luciano Vadalà, Giampaolo Viola, Amir Yeke
Organizzazione: Comune di Ragusa - Associazione Culturale Aurea Phoenix
Catalogo: Aurea Phoenix Edizioni
Video: Associazione Arte Eclettica – Aurea Phoenix Edizioni. Regia di Giancarlo Busacca
Luogo: Civica Raccolta “Carmelo Cappello”, Palazzo Zacco, via San Vito 158, Ragusa
Recapito telefonico: 0932 682486 (Centro Servizi Culturali, Ragusa)
Inaugurazione: giovedì 22 dicembre 2016, ore 19.00
Durata: 22 dicembre 2016 – 25 febbraio 2017
Orario: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì ore 8.00 – 14.00, 15.00 – 19.00; sabato ore 9.00 – 13.00, 15.00 – 19.00
Giorno di chiusura: domenica, lunedì e festivi
Ingresso: libero
Celeste o terreno? E’ un’interrogazione aperta sul tema dell’amore, declinato in cinque tappe espositive attraverso i linguaggi visivi dell’arte contemporanea, la mostra aPalazzo Bonocore di Palermo che si inaugura giovedì 15 dicembre, alle 18. “Divino Amore. L’enigma dell’amore nell’arte contemporanea” (15 dicembre 2016 - 31 marzo 2017) a cura di Alba Romano Pace è il titolo del progetto coordinato da Lucio Tambuzzo, direttore artistico della struttura che dal 2015 è sede del Museo del patrimonio culturale immateriale della Sicilia e dell’associazione I World.