PEDOFILIA, ALESSANDRO RIVA: PENA RIDOTTA IN APPELLO
Mercoledì 21 Ottobre 2009
Pedofili in cella, dopo la legge scattano le manette.
di Luca Fazzo
Alessandro Riva, critico d’arte milanese, è uno dei primi imputati a subire l’inasprimento delle norme per chi risponde di violenza sessuale sui minori: dagli arresti domiciliari ha dovuto traslocare a San Vittore. E altri lo seguiranno.
É una norma con effetto immediato, contenuta nel decreto-sicurezza approvato recentemente dal Parlamento: per gli accusati di reati di pedofilia (più tecnicamente, violenza sessuale a danno di minori) l’unica forma di custodia cautelare ammessa è il carcere. Stop agli arresti domiciliari, all’obbligo di firma, ad altre misure ritenute troppo blande di fronte ad un reato «estremo» come lo stupro dei bambini.
A differenza di altre norme, che avranno bisogno di rodaggio per entrare davvero in vigore, questa è già scattata. La norma (essendo una norma procedurale) ha anche effetto retroattivo, quindi vale non solo per i pedofili che verranno individuati in futuro ma anche per quelli già denunciati e incriminati e ancora in attesa di giudizio definitivo. Per loro, carcere obbligatorio.
La conseguenza è che le Procure di tutta Italia si stanno attrezzando per spedire in carcere decine di imputati per i quali finora erano state ritenute sufficienti misure cautelari più blande. C’è chi in carcere ci è già stato portato: per esempio il critico Alessandro Riva, già collaboratore di Vittorio Sgarbi, condannato l’anno scorso a nove anni di carcere. Riva attendeva agli arresti domiciliari la sentenza d’appello. Invece, applicando il «decreto sicurezza», il pubblico ministero Marco Ghezzi ha chiesto e ottenuto che venisse disposta a carico di Riva la custodia in carcere. E il giudice ha spedito il critico a San Vittore.
E Riva non sarà il solo a subire questa sorte. I magistrati della Procura milanese che si occupano di reati sessuali si sono riuniti nei giorni scorsi per decidere come comportarsi nei confronti degli altri presunti pedofili che attualmente si trovano sottoposti a misure cautelari. La scelta è stata quella di chiedere ai giudici di mandare in carcere tutti gli imputati che attualmente si trovano ai «domiciliari». Per gli altri, quelli sottoposti a misure più soft - come l’obbligo di firma o il divieto di soggiorno - la Procura teme che il carcere potrebbe costituire un inasprimento sproporzionato alla loro pericolosità reale, così come emerge dalle indagini. Ma la legge è chiara: l’unica misura cautelare possibile è il carcere. Quindi i magistrati si trovano di fronte ad un bivio: o lasciare gli indagati a piede del tutto libero, o mandarli in prigione.
I difensori di Riva ritengono che, se applicata in modo meccanico, la norma contenuta nel decreto sicurezza potrebbe essere incostituzionale, e meditano un ricorso alla Consulta: ben sapendo che l’unico precedente di questo tipo (la legge che imponeva il carcere per gli imputati di mafia) superò indenne il vaglio della Corte Costituzionale. Intanto le condizioni di detenzione di Riva sono state stigmatizzate in un articolo sul «Foglio» di oggi in cui si denuncia il fatto che il critico si trova «in una cella di dodici metri quadri condivisa con un albanese, un arabo, un rumeno e un italiano».
Milano, 21 nov. - Il tribunale di Milano ha condannato a nove anni di reclusione Alessandro Riva, il critico d’arte, scrittore e giornalista, messo agli arresti domiciliari il 6 giugno dell’anno scorso, con l’accusa di avere abusato di cinque minorenni. L’uomo, accusato di violenza sessuale aggravata, e’ stato anche consulente dell’assessore alla cultura milanese Vittorio Sgarbi e curatore di numerose mostre di rilievo.
Secondo quanto ricostruito dall’accusa, Riva avrebbe toccato nelle parti intime dei bambini tra il 2002 e il 2007.
Il pm Laura Amato aveva chiesto una condanna a dodici anni di carcere. Il tribunale, considerando le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, gli ha inflitto nove anni, lo ha interdetto dai pubblici uffici e lo ha privato della potesta’ sui figli. Inoltre, sono stati riconosciuti 10 mila euro di provvisionale alle due parti offese che si sono costituite parti civili, a ciascuna delle quali sono stati anche liquidate 8.000 mila euro di spese processuali.
«È la vittoria dell’irrazionalità più totale. Ci sono state delle contraddizioni mostruose e questo è il risultato di un clima allucinante». Non si dà pace, Alessandro Riva. I giudici della nona sezione penale hanno appena letto la sentenza. Il critico d’arte - 44 anni, già collaboratore di Palazzo Marino - è stato condannato a 9 anni di reclusione. Per uno dei reati più infamanti: violenza sessuale aggravata. Per il tribunale, a partire dal febbraio 2002 e fino al 2007, abusò di cinque bambine di meno di 10 anni che frequentavano la sua abitazione.
A denunciare Riva era stato il padre di una delle vittime. E, in seguito a quella denuncia, il critico era stato messo agli arresti domiciliari. Era il giugno dello scorso anno. Per mesi, si era difeso sostenendo che l’indagine era «frutto di equivoci e pettegolezzi determinati dallo stile di vita», definito dai suoi legali - gli avvocati Michele Gentiloni e Guglielmo Gulotta - «eclettico». Non così per l’accusa. Il pm Laura Amato, infatti, aveva chiesto che gli anni di reclusione fossero 12 anni.
Fuori dall’aula, Riva insiste. «È stato un processo nato sui pettegolezzi. Io non ho mai cambiato una virgola sulla mia posizione, ma c’era un pettegolezzo su di me da anni, l’ho scoperto dopo, che ha prodotto questa sentenza». Un lungo sfogo. «Dal processo non è venuto fuori nulla di oggettivo - insiste -. È stata una suggestione interna. Evidentemente così si fanno le sentenze in Italia: sulla base di un isterismo antipedofilo. Mi auguro che la corte d’appello sia un po’ meno miope e irrazionale». Ancora. «Il mio è un modello di vita differente, che forse ha creato confusione e ha fatto sì che delle bambine raccontassero cose non vere. Quel che ho capito è che io peccavo di infantilismo in un periodo in cui anche fare una carezza passa per pedofilia e questo è dovuto al clima creato in Italia da una legge allucinante per cui si danno 9 anni a uno che è accusato di toccacciamenti». E ora? «Sto scrivendo un romanzo sugli isterismi sociali che ovviamente parte da questa vicenda». E «con una sentenza del genere, certamente scrivere è l’unica cosa che potrò fare per un po’».
"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento,
perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto,
perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato,
perchè mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente
perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a
protestare."
Bertold Brecht
EL’ SUTUSCRITT……………………………………………
NAT’ A……………………………………… (TERONIA)
EL DI’ DE……………………………………………
FORTUNATAMENT DUMICILIA`………………………………
Vist i risulta` de le ultime elesiun voeri dumandà se fus
pusibil avegh la
CITADINANSA MILANES
Se dichiara:
- De vess pentiì de vess un TERUN
- De rinnegaà tucc i sò urigin meridiunal
- De mangiaà almen du volt al dì la cassoeula e la cutuleta alla milanesa
Dumandi de pudeè frequentà el curs de Lingua e Cumpurtament Lumbard.
Prumett de nun ess puseeè racumandaà, de lavurà com un asin, pagaà i tass,
ciamà men tucc i malnatt balabiott e ciaparatt dei me parent
in teronia, de fà men casin la nott e de tifaà per il Milan,
per l’Inter o per la squadra de Bergum!
De dir no pussè la parola "minchia" ma quand me fan giraà i ball disarò
"VA DA VIA I CIAPP".
Ve garantisi che prima de andaà in lett dumandaria perdun a Sua santità
Bossi Umberto e de vutaà per la Lega per i prosim cinc ann.
Cun la speransa che la dumanda la vegna acetada curdialment
ve ringrasi.
IN FEDE
Il terun sig. ……………………