Archivio di Dicembre 2016

***Sfacciati***

Mercoledì 21 Dicembre 2016
autoritratto
Momò Calascibetta-AutoRitratto-cm.60×80 acrilico 2016

Si inaugura giovedì 22 dicembre 2016, alle ore 19.00, presso la Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco a Ragusa, la mostra Sfacciati, cura di Andrea Guastella. L’esposizione raccoglie oltre cinquanta autoritratti d’artista che l’Amministrazione Comunale di Ragusa è lieta di ospitare nelle splendide Sale di Palazzo Zacco, dove potranno incontrarsi «con le sculture di Carmelo Cappello» offrendo ai ragusani e ai tanti turisti che ogni giorno visitano il museo «una riflessione su un genere – l’autoritratto – che forse più di tutti contraddistingue la nostra civiltà, ma che gli artisti sono ben lungi dall’aver esaurito quanto a forza e potenzialità».
I visitatori potranno inoltre soffermarsi su un video di Giancarlo Busacca con interventi critici di Andrea Guastella dedicato al tema dell’autoritratto.
Il corto, presentato in occasione dell’inaugurazione della mostra, sarà proiettato a ciclo continuo nell’aula video di Palazzo Zacco.
In occasione della mostra il Comune di Ragusa e l’Associazione Aurea Phoenix organizzano il concorso Realizza il tuo autoritratto. Il concorso, riservato a chi pratica il disegno e la pittura, prevede la creazione di un’opera artistica, su tela, su tavola o su carta, di formato massimo 70×50 cm, ed è suddiviso in quattro sezioni: 1. Scuola primaria; 2. Scuola media inferiore; 3. Scuola media superiore; 4. Sezione libera, aperta a chiunque voglia partecipare, senza limiti di età e condizione
Gli elaborati dovranno pervenire entro e non oltre il 7 gennaio 2017, ore 13.00, presso la Civica Raccolta Cappello di Via San Vito 158. I vincitori, giudicati da una giuria designata dal Comune di Ragusa e dall’Associazione Aurea Phoenix e presieduta dal Sindaco, saranno premiati con la possibilità di tenere una mostra in uno spazio pubblico e con premi offerti dall’Associazione Aurea Phoenix e da sponsor. La premiazione avverrà sabato 14 gennaio alle ore 17.00 presso Palazzo Zacco.
Dal testo in catalogo (Aurea Phoenix Edizioni) di Andrea Guastella: «Voglio essere sfacciato anch’io, confessarvi senza peli sulla lingua l’intera verità.
Questa mostra è stata, come si suole dire, un incidente. Avevo ricevuto, insieme a un amico, un incarico istituzionale: passare in rassegna gli uffici del Comune di Ragusa per individuare, tra le opere d’arte che ospitano, le più interessanti, allo scopo di predisporre la loro ricollocazione in un contesto museale.
Occorreva, ovviamente, interloquire con i dipendenti, spiegando loro come la nostra ispezione non fosse finalizzata a licenziamenti di massa, e facendoci spiegare a nostra volta dove si trovassero statue e dipinti, spesso conservati in magazzini o locali chiusi al pubblico, per tracciarli e stilare le relative schede. Ora, la risposta degli impiegati statisticamente più frequente era: “Qui gli unici pezzi da museo siamo noi che vi parliamo!”.
Lo avevano ripetuto con tanta convinzione da suggerirmi una rassegna dei loro ritratti, e chissà che prima o poi non ci faccia un pensierino. Ciò che però conta è come la visione dei lavoratori museificati – o mummificati, che è un po’ la stessa cosa – si sia unita a una riflessione che conduco da tempo sull’attitudine umana a lasciare ai posteri una traccia, un segno testimoniale del proprio passaggio sulla terra.
Tutti vorremmo vivere per sempre e non potendo, per scontate ragioni, realizzare questo sogno, affidiamo la nostra esistenza a puri oggetti, materiali o immateriali. Alcuni si contentano della buona fama, altri fanno figli, altri ancora appesantiscono di selfie la memoria del cellulare, salvo scaricarla periodicamente, con tante grazie a Facebook, sul proprio profilo.
In realtà questa esigenza nasconde forse un vuoto, un’inquietudine di fondo che i “selfisti” provano a curare attirando su di sé l’attenzione degli altri. Non è però solo di questi Sfacciati che ho intenzione di parlare. Da prima che Internet fosse, gli artisti si cimentano nell’autoritratto. Il capostipite, secondo Plinio il Vecchio, fu l’architetto e scultore Teodoro: si ritrasse in una statua che stringeva nella mano sinistra una mosca, sotto le cui ali si trovava una quadriga; la quadriga, prodigio di cesello, fu rubata, l’autoritratto rimase. Il secondo ricordato da Plinio lo dipinse una “perpetua virgo”, tale Iaia di Cizico, guardandosi allo specchio. Nel mondo classico l’autoritratto era dunque roba da zitelle vanitose o da bimbi mal cresciuti.
Bisognerà aspettare il Velo della Veronica, il Mandylion – insomma, il tanto bistrattato Medioevo – perché l’autoritratto, con sì illustri ascendenti, acquisti quella dignità che gli sarà conferita a pieno titolo solo nel Rinascimento, quando nascono le prime gallerie di autoritratti e si scovano autoritratti di artisti ovunque, anche dove ne mancavano (emblematico il caso del Vasari che, nella prima edizione delle Vite, non individua autoritratti di Giotto, nella seconda gliene attribuisce tre).
È da allora che l’autoritratto diventa, con Dürer e Tiziano, Rembrandt e Courbet, un genere a sé, immagine di assoluta indipendenza ma anche sintomo di una cultura – la nostra – che ha fatto di Narciso, dell’uomo innamorato di se stesso, il suo nume tutelare.
Siamo poi così certi che un autoritratto di Van Gogh sia più nobile – almeno nelle intenzioni – di una foto di Andy Warhol, o di uno scatto digitale?
Stando ai dati oggettivi, il tempo dell’autoritratto, rispetto a quello del selfie, è molto dilatato. Di solito l’autoritratto non è un prodotto estemporaneo: nella sua lentezza sono compresi l’attesa dello sguardo, lo sguardo stesso e la fatica necessaria a tradurlo, con le innovazioni che la pratica e la meditazione suggeriscono.
Vi è però in comune, tra autoritratto e selfie, un elemento essenziale: non tanto l’assenza del pubblico, cercato dall’uno e dall’altro, quanto quella del committente. Selfie e autoritratti si creano anzitutto per se stessi, per soddisfare un’esigenza personale. Perciò è invalsa l’abitudine di considerarli la chiave di accesso al segreto degli autori.
Come scriveva Plotino, la nostra immagine reale non è quella restituita dallo specchio: “Rientra in te stesso e guarda: se ancora non ti vedi bello di dentro, fa’ come lo scultore di una statua che deve venir bella, il quale a volte toglie e a volte leviga, a volte liscia e a volte raffina”.
Al termine di questo processo, nascosto negli autoritratti, palese nei selfie, posto che l’idea che ci facciamo di una certa persona scaturisce dalla somma delle sue presentazioni, appare infine il volto: sarà semplicemente bello, o anche vero?
Non saprei proprio. La maschera è, non di rado, il male minore. E, come non sempre il volto è il clou di un autoritratto – non mancano autoritratti di spalle, o con il capo abbassato – non è affatto scontato che l’autoritratto equivalga al testamento di un pittore.
Mica tutti gli artisti sono inguaribili Sfacciati come quelli accorsi al mio richiamo!
Ve ne sono anche di chiusi e riservati, che mai si sognerebbero di affaticarsi sulla propria sacra effigie (diciamolo chiaramente: chi si autoritrae avrà pure un alto concetto di sé, ma non può essere privo di ironia).
Quanto a me, non posso farci niente: convinto come sono che, anche quando non dipingono se stessi, gli artisti facciano sempre autoritratti, preferisco gli autoritratti espliciti a quelli simulati, come, nella vita di ogni giorno, preferisco chi mi rivolge un saluto a chi mi ignora.
Sarà perché anch’io – come gli adorabili impiegati del Comune di Ragusa – amo scherzare con la gente che incrocia il mio cammino? E che cos’è l’arte se non un invito a stabilire, tra artista e osservatore, un rapporto di intesa, se non addirittura di amicizia e confidenza?
Squadriamoli attentamente, questi Sfacciati. Forse non tutti ci sembreranno simpatici. Ma se anche uno solo sarà riuscito a scalfire l’alienazione che ciascuno a suo modo sperimenta, questa mostra non sarà del tutto vana».

Info: Andrea Guastella, mail: andreguast@yahoo.com
Cell: 327.4059001

Mostra: Sfacciati
Curatore: Andrea Guastella
Autori: Giuseppe Alletto, Salvatore Aquino, Arturo Barbante, Salvo Barone, Antonio Bruno, Momò Calascibetta, Sebastiano Caldarella, Calusca, Carmelo Candiano, Mavie Cartia, Salvo Catania Zingali, Giulio Catelli, Salvatore Chessari, Carmelo Cilia, Franco Cilia, Giuseppe Colombo, Margherita Davì, Giuseppe Diara, Salvatore Difranco, Angelo Diquattro, Angelo Distefano, Giorgio Distefano, Atanasio Giuseppe Elia, Franco Filetti, Alessandro Finocchiaro, Sergio Fiorentino, Bruna Fornaro, Franco Fratantonio, Salvatore Fratantonio, Giovanna Gennaro, Alessandra Giovannoni, Sebastiano Grasso, Angelo Guastella, Mariella Guastella, Giovanni La Cognata, Giovanni Lissandrello, Massimo Livadiotti, Guglielmo Manenti, Sebastiano Messina, Milena Nicosia, Michele Nigro, Miriam Pace, Alida Pardo, Maurizio Pierfranceschi, Ettore Pinelli, Franco Polizzi, Francesco Rinzivillo, Giovanni Robustelli, Piero Roccasalvo Rub, Manlio Sacco, Franco Sarnari, Ruggero Savinio, Alfonso Siracusa, Marco Stefanucci, Paolo Strano, Luciano Vadalà, Giampaolo Viola, Amir Yeke
Organizzazione: Comune di Ragusa - Associazione Culturale Aurea Phoenix
Catalogo: Aurea Phoenix Edizioni
Video: Associazione Arte Eclettica – Aurea Phoenix Edizioni. Regia di Giancarlo Busacca
Luogo: Civica Raccolta “Carmelo Cappello”, Palazzo Zacco, via San Vito 158, Ragusa
Recapito telefonico: 0932 682486 (Centro Servizi Culturali, Ragusa)
Inaugurazione: giovedì 22 dicembre 2016, ore 19.00
Durata: 22 dicembre 2016 – 25 febbraio 2017
Orario: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì ore 8.00 – 14.00, 15.00 – 19.00; sabato ore 9.00 – 13.00, 15.00 – 19.00
Giorno di chiusura: domenica, lunedì e festivi
Ingresso: libero

Divino Amore. L’enigma dell’amore nell’arte contemporanea

Giovedì 15 Dicembre 2016

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Momò Calascibetta-La nicchia del cavallo- cm.50×40 acrilico 1987

Celeste o terreno? E’ un’interrogazione aperta sul tema dell’amore, declinato in cinque tappe espositive attraverso i linguaggi visivi dell’arte contemporanea, la mostra aPalazzo Bonocore di Palermo che si inaugura giovedì 15 dicembre, alle 18.  Divino Amore. L’enigma dell’amore nell’arte contemporanea” (15 dicembre 2016 - 31 marzo 2017) a cura di Alba Romano Pace è il titolo del progetto coordinato da Lucio Tambuzzo, direttore artistico della struttura che dal 2015 è sede del Museo del patrimonio culturale immateriale della Sicilia e dell’associazione I World.

In mostra, fino al 31 marzo, sono opere di Giuseppe Agnello, Salvo Agria, Francesco Balsamo, Momò Calascibetta, Cinzia Conte, Rita Casdia, Gaetano Cipolla, Sergio Fiorentino, Grazia Inserillo, Carlo Lauricella, Charles Maze, Maurice Mikkers, Andreas Söderberg - Collettivo Moment22, Collettivo Studio Forward, Collettivo mammasONica, Domenico Pellegrino, Giuseppe Pulvirenti, Ignazio Schifano, Marco Stefanucci, Giuseppe Zimmardi. Un’installazione di Domenico Pellegrinodedicata a santa Lucia, sarà invece ospitata nel vicino Oratorio della Carità ai Crociferi, cheritorna finalmente visitabile ogni giorno.
Ispirata alla tela di Tiziano del 1514, “Amor sacro Amor profano”, la mostra di Palazzo Bonocore esplora, nei suoi significati ed ambivalenze, l’eterno enigma dell’amore attraverso i linguaggi pluriformi dell’arte contemporanea. “Video, installazioni, pittura e scultura – spiega la curatrice Alba Romano Pace - intrecciano tecniche e linguaggi differenti, innestano identità culturale ed evocazioni sensoriali, focalizzando l’attenzione sull’interazione uomo-natura. Il proposito è quello di creare una sorta di “fenomenologia dell’amore”, mettendo in evidenza i contrasti e le affinità che intercorrono tra le sue due più forti espressioni: la celeste e la terrena, antitetiche solo in apparenza. Ogni elemento dell’amore può essere l’uno e il suo esatto contrario, ma riesce a mandare un unico messaggio di pace”.
Sul tema della mostra interviene anche, il direttore artistico Tambuzzo:“In una terra come la Sicilia, marcata attraverso i secoli da tradizioni e riti in costante oscillazione tra il religioso e il pagano, abbiamo voluto indagare l’evoluzione delle forme dell’amore. Il racconto è scandito attraverso cinque stanze: dalla tradizione classica fino al contemporaneo, una dialettica creativa reinterpreta nel presente elementi simbolici fortemente ancorati all’immaginario mentale dell’essere umano e carichi di ambivalenze”.
La mostra “Divino Amore” sarà visitabile a Palazzo Bonocore dal lunedì al venerdì (10-13.30 e 14.30-17.30)
Struttura dell’esposizione “Divino Amore”
Le Cinque Stanze: il percorso della mostra si articola in cinque stanze, in ognuna viene declinato un tema, secondo i due aspetti (terreno e celeste) dello stesso argomento.
1. Il Chiarore e l’Oscurità 
Si è spesso attribuita all’amore spirituale una luce divina, simbolo della rivelazione, mentre la notte nasconde grazie all’oscurità, permettendo ciò che la vista vieta. Nell’opera del Collettivo mammasONica si invita lo spettatore a passare “attraverso lo spettro” luminoso, vivendo un viaggio sensoriale dal buio alla luce, attraversando i colori. Una ricerca ispirata dai maestri del tonalismo, che modulavano le tonalità sulle sequenze che interagivano con la psiche. Lo spettatore si ritrova immerso nei pigmenti luminosi seguendo un percorso che va da una fase di osservazione, ad una di esplorazione e contemplazione, senza conoscerne la sequenza e lasciandosi trasportare dall’emozione.
2. Corpo spirituale e Corpo materiale 
Il corpo è al centro dell’amore, è tramite e limite tra l’Io e l’Altro. Il corpo può essere macroscopico, come il grande uomo-totem di Giuseppe Zimmardi o microscopico, come l’opera Minibaby di Rita Casdia, accompagnata dalla sua scultura di capelli, elemento del desiderio, portato al suo estremo e quasi disumanizzato. L’installazione diGaetano Cipolla con i suoi disegni fragili e dal tratto sintetico, racconta la convivenza quotidiana tra l’anima di un uomo ed il suo involucro di pelle e carne. Frammenti di corpo sono le reliquie dei santi, che hanno la capacità di generare miracoli: da qui gli ex-voto dei fedeli per grazia ricevuta, rievocati negli Amori immaginari di Giuseppe Pulvirenti, che gioca con le sagome ed i riflessi degli ex-voto che rappresentano una parte del Sé, tanto spirituale quanto reale, poiché ognuno di essi indica dettagliatamente la parte del corpo salvata dal miracolo.
3. L’acqua purificatrice e la Fonte della vita 
Trasparente e fluida l’acqua da sempre è il simbolo della vita. L’acqua del Fonte battesimale lava dai peccati mentre l’acqua della Fonte dell’eterna gioventù è l’emblema della fertilità e del piacere. Dio manda il Diluvio Universale per punire e purificare le colpe degli uomini, Giove si trasforma in pioggia per fecondare Danae. Elemento femminile per eccellenza, l’acqua si presta anch’essa alle ambivalenze.  Nel video delColletivo Studio Forward, l’immersione è totale, purificante e sensoriale. Un contatto ritrovato con la natura in una sensazione di libertà. Lo stesso legame uomo-natura si ritrova nell’installazione di Carlo Lauricella: qui è il sale, elemento d’acqua, che nelle sue cristallizzazioni evoca la purezza e l’eternità. Di acqua e sale si compongono anche le lacrime, che analizzate al microscopio dall’olandese Maurice Mikkers, si scoprono possedere una cristallizzazione differente a seconda del motivo per cui si piange. Affascinanti e misteriose, le lacrime sono esaminate nella loro bellezza segreta dal microscopio di Mikkers che le rende concrete agli occhi dello spettatore. Alla pioggia che lava e feconda fanno riferimento le gocce di Ignazio Schifano e l’opera Preghiere diFrancesco Balsamo, un piccolo oggetto che trattiene in sé la bellezza e l’intimità di un moderno ex-voto, un ombrello che come una conca raccoglie la pioggia di preghiere e desideri dei fedeli. L’acqua sorgente di piacere appare nella fonte dell’eterna giovinezza dipinta da Momò Calascibetta, dove la Fontana della Vergogna di Piazza Pretoria diviene un inno d’acqua al divertimento, alla gioia e al piacere. Lo spettatore è infine invitato ad immergersi in un bagno di luce nell’opera di Cinzia Conte, che immagina uno spazio acquatico tra le mura del palazzo creando un’atmosfera tra magia e meditazione.
4. L’Eden e il Giardino delle delizie 
La natura è una silenziosa complice dell’amore. Il giardino è metafora della bellezza, è quello spazio d’eccezione creato da Dio affinché si amassero l’uomo e la donna e da questi miseramente perduto. L’opera L’anima e il corpo di Giuseppe Agnello evoca Adamo ed Eva, divenuti parte di quel giardino ormai arido, dove non fioriranno nuovi boccioli ma gli arbusti si innesteranno nell’animo e nella carne dell’essere umano come un memento del tempo passato, nostalgia e condizione esistenziale. Nell’opera delColletivo svedese Moment22, la mela ormai morsa che respira affannosamente come se fosse divenuta viva, è il simbolo del peccato, dell’atto compiuto e dell’impossibilità del tornare indietro, dello sbaglio ormai irrecuperabile. Ma il giardino è anche il luogo che attende le anime purificate dopo la morte e la natura, nel suo essere prorompente e rigogliosa, è ugualmente simbolo di lussuria e sessualità. Dal Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch nascono gli enormi fiori rossi, le liane e la vegetazione fantastica dell’opera di Grazia Inserillo. Nelle Anamorfosi di Charles Maze, le piante, fiori e animali avvolgono e attraverso i profumi, i colori e la loro ambiguità, personificano l’eros e l’ebbrezza dell’abbandono dei sensi.
5. Veneri e Sante 
La donna attraverso il mito e la sua rappresentazione, è la protagonista di questa sezione, così come è la protagonista nel quadro di Tiziano che fu il dono di nozze di Nicolò Aurelio, Gran cancelliere di Venezia, alla sua sposa. Le due donne che vi sono rappresentate indicano l’amore nelle sue due forme ovvero la beltà ornata e la beltà disadorna. Venere, svestita, pura nella sua nudità, si rivolge alla sposa ancora adorna di gioielli e vanità, per indicarle la via verso l’amore. Il gioco di sguardi tra le due donne, i loro corpi, uno nudo l’altro coperto, l’ambiguità che si crea tra il nascondere e il mostrare, sono il motivo ispiratore di questa sala dove, tra gli affreschi dell’alcova, Veneri e Sante, dialogano tra loro confondendo lo spettatore. Nel ritratto di Sergio Fiorentino, il sorriso enigmatico della donna e quel tratto blu appena accennato sul suo capo, pongono la figura tra il celeste ed il terreno, senza riuscire a posizionarla in nessuno dei due elementi. Il volto di donna di Marco Stefanucci sorge dal buio come una visione. Al mondo onirico appartengono i personaggi di Madame Papier, il video diSalvo Agria, che porta “oltre lo specchio” facendo immergere per sette minuti nell’antro di un antico palazzo incantato della vecchia Palermo, rendendo partecipi dei suoi misteri e complici dei suoi fantasmi. Inebriate e prigioniere di una giostra stregata sono leDame di carta di Ignazio Schifano, che nonostante la corposità della materia pittorica, sembrano anch’esse per svanire sotto lo sguardo dello spettatore. L’Omaggio a Santa Rosalia e la restituzione del giglio rubato si concretizzanonel carro di Fabrizio Lupo e soprattutto con la scultura di Domenico Pellegrino, entrambi già parte della collezione permanente di Palazzo Bonocore. La Santa Rosalia di Pellegrino é attraversata da un vento divino che le scuote l’anima, il viso e le vesti: la notte del 4 settembre del 2014, la statua fu rovinata perché qualcuno strappò il giglio d’argento  (insieme ad un dito). In occasione della mostra Divino Amore, la Michele Matranga Gioielli ridona alla Santa il suo fiore originale, realizzato, su disegno di Domenico Pellegrino, dal maestro orafo Michele Matranga e dal maestro argentiere Benedetto Gelardi. Un gesto generoso che si tinge di una forte simbologia: quel fiore é una metafora di Palermo, l’omaggio vuole essere d’auspicio al rifiorire della città.