Elogio del Disegno
6 Giugno 2015
Elogio del Disegno
Autori: Francesco Balsamo – Salvo Barone – Giovanni Blanco – Sandro Bracchitta – Momò Calascibetta – Giuseppe Colombo – Piero Guccione – Giovanni Iudice – Giovanni La Cognata – Giovanni Lissandrello – Vincenzo Nucci – Giovannni Robustelli – Franco Sarnari
Curatore: Andrea Guastella
Organizzazione: Associazione Aurea Phoenix
Luogo: Civica Raccolta “Carmelo Cappello”, Palazzo Zacco, via San Vito 158, Ragusa
Recapito telefonico: 0932 682486 (Centro Servizi Culturali, Ragusa)
Inaugurazione: sabato 6 giugno 2015, ore 18.00
Durata: 6 / 23 giugno 2015
Orario: aperto tutti i giorni escluso sabato e festivi ore 9.00 /13.00; martedì e giovedì ore 9.00/13.00 e 15.00/17.00
Si inaugura sabato 6 giugno 2015, alle ore 18.00, presso la Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco a Ragusa, la mostra Elogio del disegno, a cura di Andrea Guastella. L’esposizione, organizzata dall’Associazione Aurea Phoenix col Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ragusa, raccoglie una selezione di disegni di autori italiani contemporanei.
Martedì 23 giugno alle 18.00, sempre presso i locali di Palazzo Zacco, alla chiusura della mostra verrà presentato il volume di Andrea Guastella Il ramo verde, Aurea Phoenix Edizioni, una raccolta di scritti sull’arte comprensiva del saggio che dà il titolo alla mostra e che le è esplicitamente dedicato.
Dal testo di Andrea Guastella: «In un capitolo dal titolo emblematico, Elogio del pastello, della sua indimenticata Critica della modernità, Jean Clair registrava la risurrezione del disegno che, a suo dire, ritorna “ad occupare […] quel posto primordiale che fu, in altri tempi, il suo”. Trent’anni e passa dopo risulta difficile credere al primato di un’arte universalmente caduta in oblio, abbandonata dalle scuole e soppiantata, nella sua funzione mimetica, da strumenti ottici che consentono di riprodurre il reale con una facilità di gran lunga maggiore. Poco a poco tali strumenti, a cominciare dai più semplici come la fotocamera del telefonino, sono diventati delle vere e proprie protesi corporee, dei prolungamenti delle facoltà percettive col non trascurabile vantaggio di fissare una visione stabile, non soggetta ai capricci della memoria e modificabile a piacimento.
Oggi, perciò, non sembra strano che una star del calibro di Maurizio Cattelan dichiari candidamente di non saper disegnare: “Le mie cose”, afferma, “non le tocco proprio. È il vuoto che mi concentra e mi dà delle idee”. Si potrebbe – ammettiamolo – ironizzare facilmente su quel vuoto, ma sarebbe come prendersela con uno scienziato perché non sa cucinare: l’arte concettuale risponde infatti a logiche mentali che hanno poco da spartire con la “primordialità” del disegno, col suo essere identico a sé stesso da quando i primitivi tracciarono schizzi sulla pareti di una grotta.
Davvero il disegnare fonde l’uomo e il mondo: come lo sciamano si immedesimava nella preda da cacciare, nessun disegnatore che si rispetti è in grado di affrontare una montagna senza diventare in qualche misura una montagna, o di ritrarre una donna limitandosi a contemplarne la sagoma, la forma. Occorre percorrere i luoghi, frequentare le persone, conoscere la luce e l’atmosfera dei primi e i movimenti delle seconde, dal modo in cui, con un gesto della mano, ravvivano i capelli, al piegarsi di una ruga se un pensiero le attraversa. Disegnare non è infatti copiare passivamente il dato oggettivo: è cogliere un’armonia fra rapporti complessi e trasporli in un ordine proprio, sviluppandoli secondo dinamiche autonome. E non si tratta di impresa da poco. Per quanto si tratti di un atto primigenio, per disegnare – come per scrivere – occorre superare una barriera.
Lo aveva capito Van Gogh, che in una lettera al fratello definisce il disegno «l’arte di aprirsi un passaggio attraverso un muro» eretto tra i sensi e l’intelletto, tra ciò che si vede e ciò che si intende esprimere. Ostacolo da superare ma non perciò meno necessario, essendo proprio la sua presenza ad accendere l’immaginazione trasformando la percezione meccanica in interpretazione. Ogni artista, per dirla tutta, ha il proprio muro, che a volte coincide col suo limite, altre con la sua qualità maggiore. Prendiamo il caso di Vincenzo Nucci, amico carissimo da poco scomparso cui ho il piacere di dedicare questa mostra: forse il disegno era per lui un limite, una sfida, ma senza impegnarsi in questo confronto sviluppando le sue attitudini di colorista non sarebbe probabilmente diventato il grande pittore che tutti ammiriamo. Non a caso il suo Paesaggio della memoria, un disegno che mi donò per una mia pubblicazione, è quasi un unicum nel suo corpus, e non manca di ricorrere al bianco del pastello.
Al contrario, per Franco Sarnari il disegno è la prima rimozione – parafrasando un suo famoso ciclo potremmo quasi definirlo una Cancellazione – della sua lunga storia: disegnatore abilissimo, egli farà sempre più a meno della spontaneità dimostrata agli esordi (lo Scooter in mostra risale agli anni ’50) in nome di un tratto più freddo, pensato. C’è quasi da credere che egli abbia temuto di rimanere impantanato nelle secche della facilità esecutiva – la qualità maggiore come ostacolo da superare – rimanendo soltanto un disegnatore.È questo un timore probabilmente condiviso da Giovanni Blanco, altrettanto dotato ma alla continua ricerca di prestazioni superiori per il suo strumento e, sebbene in misura minore, da Salvo Barone, dove l’intellettualismo di alcune scelte tematiche è un freno a mano inserito che rallenta un fluire di linee altrimenti impetuoso.
Solo Giovanni La Cognata, disegnatore naturale se mai ve ne fu uno, è all’apparenza esente da simili preoccupazioni: all’apparenza, poiché il suo ductus, incisivo come plastica è la sua pittura, si nutre di natura almeno quanto è carico di memoria culturale. La spontaneità, è proprio il caso di ripeterlo, è figlia dello studio.Qualcosa del genere accade anche a Piero Guccione, il cui disegno è costruito, meditato, rarefatto proprio come la sua splendida pittura. E alla pittura, a una tessitura fine, quasi – se fosse possibile – per velature sovrapposte, si richiamano il disegno di Giovanni Iudice, dalla trama così sottile da rendere arduo cogliere il solco della matita sulla carta, nonché quello poetico, evocativo, carico di suggestioni letterarie di Giuseppe Colombo, Francesco Balsamo e Giovanni Robustelli.
Un discorso a parte va fatto per il gesto ipnotico e sognante di Sandro Bracchitta, una sorta di inconscio del suo lavoro di incisore, per quello incerto e sfumato, come se il tempo ne avesse diluito la nettezza, di Giovanni Lissandrello e per quello espressionistico di Momò Calascibetta,
TG notte - cm. 50 x 100 - disegno a matita 2004
forse il maggiore erede di una tradizione che ha in Grostz e in Dix i suoi padri fondatori e una delle massime testimonianze nel segno sospeso tra l’impegnato e il surreale di Bruno Caruso.In realtà ciascuno di questi autori meriterebbe un discorso approfondito, addirittura monografico, che renda giustizia al suo percorso individuale. A me basta, in questa sede, riconoscere che Jean Clair non si sbagliava».
Info: Andrea Guastella, mail: andreguast@yahoo.com cell: 327.4059001
A sud del pensiero: ri-tratti mediterranei. Omaggio a Carla Accardi
31 Agosto 2014A sud del pensiero: ri-tratti mediterranei. Omaggio a Carla Accardi
L’Associazione R. C. “Museo del Presente”, in collaborazione con la Pro Loco di Nicosia, l’Associazione “Italia Nostra”, la Casa d’arte “la Fenice” ed il Comune di Sperlinga, promuove una mostra di arte contemporanea dal titolo: A sud del pensiero: ri-tratti mediterranei. Omaggio a Carla Accardi, che riattualizzi il Mediterraneo (inteso come spazio mitico e della costruzione del senso, piuttosto che come spazio esclusivamente geografico) attraverso evocazioni, suggestioni, nostalgie, memorie, miti antichi e moderni.
Artisti di Sicilia da Pirandello a Iudice
12 Luglio 2014Letti & Diletti
2 Giugno 2014Vittoria ( RG )
Vittoria ( RG )
L’acqua di Leonardo, l’oro di Milano
6 Maggio 2014Vittoria Sperimenta
29 Marzo 2014Vittoria Sperimenta
VITTORIA. Sabato 29 marzo alle ore 19.00 il vernissage della mostra
La sperimentazione si è chiusa con tre ospiti speciali: Momò Calascibetta (in foto), Loredana Grasso, Francesco Lauretta
SICILIA - VITTORIA (RG) - La sperimentazione non è ancora finita. Sabato 29 marzo, infatti, dalle ore 19 alle ore 21, nello splendido spazio al primo piano del Chiostro di Santa Maria delle Grazie, sarà inaugurata la mostra di Vittoria Sperimenta, che vedrà in esposizione tutte le opere prodotte in questi due mesi dai tredici artisti ospiti (Ilde Barone, Giulio Catelli, Salvo Catania Zingali, Carmelo Candiano, Giuseppe Colombo, Giovanni La Cognata, Giovanni Blanco, Carlo e Fabio Ingrassia, Piero Zuccaro, Momò Calascibetta, Loredana Grasso, Francesco Lauretta).
I due mesi si sono conclusi con una settimana speciale, che ha visto ospiti Momò Calascibetta, Loredana Grasso, Francesco Lauretta.
“Chiudiamo queste quattro settimane – ha commentato il direttore artistico Giovanni Robustelli – e lo vogliamo fare con le parole delle persone che sono venute. Proprio durante gli ultimi giorni, una signora, una di quelle che rappresentano il pubblico tradizionale delle mostre e che sono state incuriosite dal nostro esperimento, ci ha detto che questa manifestazione lascerà un segno nella storia della cultura di questa città, un segno che serve da concime per le nuove generazioni. Ed è vero, perché per raccontare di questa esperienza potremmo anche usare le parole dei bambini, la sorpresa dell’entusiasmo, la loro curiosità e meraviglia, tutte cose che dovrebbero farci riflettere sul valore che può assumere il linguaggio artistico nella formazione dei bambini. Il risultato finale è stato esattamente quello che ci aspettavamo: possiamo dire di aver raggiunto i nostri obiettivi”.
“E’ stata un’esperienza strabiliante anche dal punto di vista umano – aggiunge Ivano Fachin, presidente dell’associazione Akash -, un’occasione unica di incontrare universi, culture, filosofie e tecniche, una carica di energia e di curiosità senza paragoni. Se il nostro pubblico ha avuto modo di cogliere anche una piccola parte di quello che noi abbiamo vissuto ogni giorno, possiamo essere orgogliosi del risultato”.
E gli artisti stessi, confermano il valore di questa formula – innovativa e per certi versi provocatoria – proposta da Vittoria Sperimenta.
“La rassegna – commenta uno degli artisti ospiti dell’ultima sessione, Momò Calascibetta - ha voluto offrire al pubblico la visione della nascita in diretta di un’ opera d’arte nei suoi aspetti più intimi e sconosciuti. Già il mondo contemporaneo artistico nega la concreta possibilità diincontri-scontri tra gli stessi operatori del settore. Rimpiango il tempo storico in cui poteva verificarsi un incontro dilaniante e tragico come quello tra Van Gogh e Gaugin, artisti che partoriscono le loro opere per la loro intrinseca necessità d’esistere. I miei lavori nascono in assoluta solitudine. Rare volte accetto esperienze di questo tipo ma questa volta galeotto è stato l’ incontro a Milano con Giovanni Robustelli. L’ambiente fisico ed umano in cui si è svolta la rassegna ha rispettato i canoni della bellezza e dell’armonia creando un habitat confortevole in cui ogni artista ha potuto ben lavorare anche se non è stato per me facile sentire nei nostri spazi lo scorrere curioso e parlante del pubblico visitatore che qui…lo si voleva comunque agente”.
“Ho lasciato un silenzio muto e ho ritrovato una forte cassa di risonanza – ha aggiunto Loredana Grasso –, quasi una nuova, bella e grande famiglia. Mi porterò via l’esperienza di avere incontrato delle persone straordinarie e non solo. L’artista è abituato a una forma di solitudine incredibile e qui ho riscoperto invece il silenzio della presenza, il privilegio di avere a fianco persone che riescono a stimolarti anche senza fare nulla. Con i bambini, poi, è stata un’esperienza straordinaria: un momento in cui mi sono sentita davvero me stessa, dati anche alcuni dei miei linguaggi precedenti, e in loro mi sono riflessa come in uno specchio”.
“La cosa bella, al di là del lavoro – ha detto infine Francesco Lauretta, che qui è arrivato con una poltrona, i suoi libri e i suoi dischi -, è che si incontrano persone di una generosità straordinaria, dagli artisti al pubblico. Sono momenti incredibili per raccontarsi e ascoltare e conoscere il racconto degli altri. Mi sono portato le mie cose perché il pittore non è tutto quello che sono: la pittura è l’atto finale di un processo di ricerca che ho voluto portare per intero. Ed è stato un momento per verificare ancora una volta che questo è davvero un lavoro benedetto”.
L’appuntamento è dunque per il 29 marzo, per poter ammirare le opere prodotte durante questa prima edizione.
Vittoria Sperimenta
22 Marzo 2014
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•••Dictator Putin•••
9 Marzo 2014“Dietro ogni grande della storia c’è una drag queen”. E’ ciò che pensa l’artista Saint Hoax, che ha trasformato, attraverso una serie di immagini GIF, famigerati dittatori e potenti inclini alla guerra in colorate drag queen. E così Saddam Hussein diventa Madame O’Sane, Vladimir Putin si trasforma in Vladdy Pushin’ e Adolf Hitler cambia il suo aspetto in Hitleria Hysteria.
Barbara Rose: «I nipotini di Duchamp spariranno. Basquiat? Vale davvero poco»
9 Marzo 2014Il suo viaggio, di storica e critica, nella «factory» americana di Warhol e gli altri
«Hirst e gli altri, rovina dell’arte»
Barbara Rose |
Un’opera di Basquiat |
Barbara Rose, grande storica e critica d’arte, docente, scrittrice e curatore di mostre, ha un dono tutto speciale: quello di parlare con franchezza e di regalare in una conversazione un viaggio nella mitologia dell’arte. I suoi amici più cari erano Warhol, Rauschenberg, Frank Stella, Jasper Johns per fare solo qualche nome. «Avevamo vent’anni, non c’erano soldi e l’unico posto dove trovare qualcosa da mangiare era da Andy alla Factory o allo studio da Rauschenberg. Si viveva così, con allegria e pieni di speranze» racconta. La Rose è una giovanissima settantenne. Impossibile darle un’età precisa, inganna tutti con il fascino della parola e con gli occhi azzurri che sorridono sempre. Ed è una figura davvero unica: non soltanto è la più importante testimone e studiosa dei movimenti artistici americani, lei stessa è protagonista di quella stagione irripetibile (tra gli anni Sessanta e Settanta) che ha visto crescere e consolidarsi i grandi movimenti dell’arte «made in Usa».
Due esempi? Warhol l’ha filmata nel suo film The 13 Most Beautiful... e c’è una foto che la ritrae nuda mentre Jasper Johns le fa un calco di gesso. Lei scherza: «Pezzi delle mie gambe e braccia sono sparsi nei suoi quadri. Faccio parte delle più belle collezioni del mondo». La Rose è stata «dentro» la storia dell’arte con una passione e una libertà che non ha uguali e i suoi scritti hanno offerto una lettura fondamentale per comprendere e costruire una storia dell’arte che è storia del presente. Tra tutti vale ricordare il testo che ha scritto a soli 25 anni, L’arte americana del Novecento, che ha aperto la critica a un mondo fino ad allora pressoché sconosciuto: «Ho scoperto da poco una cosa incredibile: i soldi che quel libro ha fatto guadagnare all’editore sono andati alla Cia. Era tempo di guerra fredda e il volume, che aveva un finanziamento governativo, doveva servire a manifestare la grande potenza creativa degli Usa in confronto all’aridità della Russia».
Da poco ha pubblicato per ScheiwillerParadiso Americano, una raccolta di saggi «sull’arte e anti-arte» dal 1963 a oggi. Un volume che oltre ad essere l’appassionato racconto in presa diretta dei protagonisti dell’arte americana, è anche la storia di una irrefrenabile decadenza, di un vero e proprio declino. Con una sorpresa: da sostenitrice entusiasta degli artisti, fa autocritica e riconosce i limiti, gli eccessi di quel mondo che ha frequentato da vicino. Senza tanti giri di parole Barbara Rose accusa un sistema dell’arte senza più regole etiche che pensa soltanto al profitto: «Siamo in mano al marketing, nient’altro. Viviamo il tempo dei valori falsi confezionati per gente incolta e ignorante. Il problema è la distruzione totale del mercato dell’arte che non ha niente da fare con la qualità di un’opera. Oggi esiste solo la manipolazione del mercato controllata dalle case d’asta, ma ancor di più dalla pubblicità, dai libri e dai critici pagati, dalle feste mondane e dai musei. Sì, i musei sono il vero problema: certificano la qualità quando non c’e nient’altro che moda, scandalo e spettacolarizzazione. È il fast food dell’arte con il gusto di una pizza fredda».
«Ma l’arte americana non è del tutto morta: ho trovato enormi energie nuove dai giovani neri, latini e asiatici. L’arte vive di nuovo grazie al melting pot». Ma New York, aggiunge, non è più il centro del mondo: «Andare a New York oggi è come trovarsi con i resti di una festa». E si lascia andare a una battuta: «Ora a Manhattan ci sono meno artisti che a Todi». Per Barbara Rose anche in Europa non va tanto bene: «La crisi viene del fatto che i ricchi non hanno cultura e i colti non hanno soldi. Viviamo un mondo che non permette lo sviluppo del gusto. Oggi l’intelligenza, l’etica, l’estetica contano poco». Ne ha anche per i critici italiani: «Achille Bonito Oliva? Il suo problema è che si considera un artista. Per lui la più grande opera è solo se stesso. Francesco Bonami è molto legato alle logiche del marketing e capisce solo le regole del gioco. Germano Celant è il gioco». E salva soltanto Gillo Dorfles: «È stato il mio eroe. I suoi scritti sono ancora fondamentali per capire la decadenza del presente ».
La storica dell’arte è un fiume in piena: ricorda i giorni a Washington, dov’è nata e quando saltava la scuola per andare tutti i giorni alla National Gallery. Sognava di diventare pittrice («Ma ho smesso di dipingere quando ho visto i quadri di Frank Stella»); ricorda i suoi 15 anni a New York per conoscere gli artisti: «Bastava andare ai vernissage a Tenth Street o a Betty Parsons e c’erano tutti, sempre ubriachi e a caccia di ragazzine. Cosi ho incontrato de Kooning, Kline, Guston. E poi per pagarmi gli studi ho lavorato da Leo Castelli e così ho cominciato anche a scrivere. Avevo 22 anni». Una vita avventurosa nel nome dell’arte. Ma non solo. Tante anche le passioni d’amore: «Ho incontrato un ragazzo senza denti —racconta —. Era tutto sporco, con la barba lunga, un proto punk. Ma quando ho visto i suoi quadri neri ho capito che era un genio». Quel ragazzo era Frank Stella e diventerà suo marito.
Il secondo, per la precisione, visto che con questa donna tra amori e matrimoni il rischio è di perdersi. Per la cronaca, il terzo marito è stato Jerry Leiber (celebre autore di tutti i testi di Elvis Presley) che ha voluto sposare a Roma perché c’era Argan sindaco che ha celebrato il matrimonio. Tranquilli, scherza: «Il quarto e ultimo marito è anche il mio primo amore». E aggiunge: «Basta artisti, sono impossibili, ti uccidono, questo è un economista, anzi l’ultimo economista marxista rimasto negli Usa e si chiama Richard Du Boff. Eravamo proprio dei ragazzi quando ci siamo sposati ». Dopo 48 anni lo ha ritrovato casualmente durante un viaggio in treno. A Barbara Rose si illuminano gli occhi: «Si è avvicinato e mi ha detto: sei l’amore della mia vita. Ci risposeremo a Venezia. Non è una storia alla Calvino?».
Gianluigi Colin
02 aprile 2009